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VIDEO Don Vincenzo Catani: “Guai a sentirsi colonizzatori e portatori di cultura”

SAN BENEDETTO DEL TRONTODon Vincenzo Catani, parroco di S. Pio X a San Benedetto del Tronto è partito per un viaggio missionario.
In questa breve intervista don Vincenzo ci ha rilasciato delle considerazioni, come sempre, profonde e interessanti.

Don Vincenzo quale progetto di cooperazione missionaria ti ha portato a intraprendere questo viaggio?
In realtà mi sono inserito in un progetto già pensato e voluto da altri, e precisamente da padre Luigi della comunità dei Padri Agostiniani Scalzi di Acquaviva Picena, tramite un mio parrocchiano, Ilario Persiani, e il diacono della mia parrocchia, Umberto Silenzi, esperto in progetti per il Terzo Mondo per la Caritas Italiana. Siamo partiti per realizzare un progetto agro-alimentare in una missione del Nord-Ovest del Camerun, la missione di Bafut, retta dagli Agostiniani.
Si trattava di rendere produttiva una vasta area agricola per dar lavoro e cibo ad un territorio composto da diversi villaggi.
Bisognava inventare l’approvvigionamento continuo dell’acqua (anche nei mesi della secca), di produrre energia con pannelli solari, di realizzare una sistema continua di irrigazione con cisterne e pompe, di impiantare varie colture vegetali e fruttifere, di creare un luogo di pescicoltura, di costruire ambienti di stoccaggio dei prodotti e fornire mezzi per la loro vendita in città, di preparare delle stalle e infine di fornire mezzi agricoli per la complessa lavorazione. Con l’aiuto di architetti ed ingegneri locali si è potuto realizzare sulla carta l’intero progetto, con tanto di disegni, fatture proforma del materiale, permessi vari ed quant’altro occorreva. Il progetto, che si aggira sui 150 mila euro, è stato approvato dal vescovo locale della diocesi di Bamenda e dalla Conferenza episcopale camerunese. Ora viene presentato alla CEI per il finanziamento proveniente dall’8 per mille.

Quali esperienze hai fatto e quali emozioni hai provato in questa avventura?
Ogni viaggio in terra di missione (per me questo è già il terzo, dopo lo Zaire e le Filippine) è sempre fonte di estrema commozione. Si entra in un mondo tutto da scoprire, dove c’è tanto da imparare. Guai a sentirsi colonizzatori e portatori di cultura, perché questa è realtà altamente presente in ogni popolo. Tanto più se si parla della fede. Ho visto una comunità cristiana viva, gioiosa. Ho vissuto con loro i momenti quotidiani e festivi della preghiera che mi hanno letteralmente affascinato. Ho goduto nel conoscere il loro mondo scolastico, che mi è sembrato molto serio ed impegnativo. Sarà la cultura a salvare l’Africa.

E cosa ti è rimasto di questa esperienza al ritorno in Italia?
Un viaggio come questo non lascia mai come prima. Ogni volta si torna più ricchi: nella fede, nella carità fraterna, nella stima degli altri, nel ridimensionamento del nostro mondo occidentale, nel concetto di Chiesa universale, nella bellezza di tradizioni e culture diverse. E poiché il livello di benessere economico è molto diverso e la povertà è più marcata in quelle zone subsahariane, è bello pensare che noi possiamo dar loro quel che abbiamo conquistato (spesso sulla loro pelle e su un colonialismo esasperato), ma senza dimenticare che essi a loro volta possono insegnarci quello che hanno più di noi, cioè i molti valori umani e sociali che noi abbiamo perduto. L’Africa insegna al nostro mondo occidentale molto di più di quanto pensiamo.

Programmi missionari per il futuro?
Per il futuro non ho programmi specifici. Mi rimetto alla fantasia e alla possibilità che potrò avere con il diacono Umberto. Come esperienze personali che arricchiscono la mia spiritualità ed umanità.

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