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Dalla Nigeria all’Italia con l’inganno, costretta a prostituirsi

Di Patrizia Caiffa

In Nigeria aveva già un laurea in tasca, la bellezza della gioventù e un buon lavoro: riparava e vendeva computer. Ha riparato perfino quello della donna di cui si fidava, cattolica come lei, che l’ha ingannata promettendole un lavoro migliore in Europa per consegnarla invece nelle mani dei trafficanti di esseri umani. A Napoli ha scoperto l’atroce menzogna: volevano che si prostituisse in strada. Invece di uno stipendio si è trovata di fronte un debito enorme da restituire ai suoi aguzzini. Ma la storia di Sunday (è un nome di fantasia per proteggerne l’incolumità), 28 anni, è a lieto fine, perchè intessuta di grande coraggio, dignità e volontà di riscatto. Oggi lavora in Italia come mediatrice culturale per liberare altre ragazze vittime di tratta.  Ce l’ha raccontata al telefono da Abuja, capitale della Nigeria, dove ha partecipato alla conferenza internazionale sul traffico di esseri umani in Africa e dall’Africa organizzata dal 5 al 7 settembre da Caritas internationalis e Pontificio Consiglio per i migranti. Vi hanno preso parte 130 delegati ed esperti, impegnati nella rete di organizzazioni cristiane contro la tratta Coatnet (alla quale aderisce anche la Caritas), che opera per sensibilizzare sulla questione ed assistere le vittime.

Dalla sola Nigeria si stimano tra le 40 e le 45mila vittime di schiavitù tra il 1990 e il 2005. L’8o% delle ragazze nigeriane che arrivano in Italia, ha denunciato al convegno monsignor Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale nigeriana, è vittima di tratta. Nel 2015 sono sbarcate in Italia 5.400 donne nigeriane.

L’incubo di Sunday inizia tre anni fa, nel 2013, quando incontra una donna insospettabile, “una cristiana di fiducia”, ripete più volte, che le chiede di riparare il suo computer e quello delle amiche. Soddisfatta del risultato, le fa una proposta allettante: andare a lavorare in Spagna nel negozio di computer del fratello, guadagnando uno stipendio molto più alto. Tutto in maniera legale. Il sogno dell’Europa e di una vita migliore, un anno di pratiche tra ambasciata e uffici pubblici per fare i documenti e ottenere il visto. Chi non si sarebbe fidato e non avrebbe accettato? Appena atterrata con un aereo di linea in Spagna, la vanno a prendere all’aeroporto e la informano di un cambiamento di programma. Deve andare in Italia perché il fratello dell’ingannatrice ha spostato il negozio a Napoli. Qui incontra un uomo nigeriano con la moglie. “Mi hanno portato a casa loro dicendomi che avevano già trovato il posto dove avrei lavorato la mattina ma che avrebbero dovuto cercarne un altro per la sera-  racconta -. Dissi che per me andava bene, ma volevo sapere lo stipendio. Mi risposero: ‘Non siamo noi che dobbiamo pagare te, sei tu che ci devi 65mila euro. Ho capito immediatamente che ero caduta nelle mani dei trafficanti”.

Solo per tre giorni. “Sapevo dai giornali del fenomeno della tratta – sottolinea Sunday – ma non avrei mai immaginato che una persona di fiducia, una donna cristiana che professa Gesù Cristo, potesse trafficare in quest’ambito e distruggere la mia dignità, che ho costruito con tanti sacrifici”. Sola, in un Paese straniero senza conoscere la lingua, senza più i documenti che le avevano sottratto, con l’impossibilità di comunicare con la famiglia, non ha potuto far altro che cedere. Ma solo per tre giorni. “Mi hanno portato sulla strada, lì ho parlato a lungo con le altre ragazze e mi sono resa conto di tutto – prosegue -. Ho capito che rimangono sulla strada perché hanno paura delle minacce, dei riti voodoo a cui vengono sottoposte. Molte accettano questa situazione come modo per sopravvivere”. Per tre giorni Sunday finge di essere sottomessa a quel triste destino, che sembrava ineluttabile come per le altre. Invece,

appena scopre una stazione di polizia, entra e denuncia.

In Italia fortunatamente la normativa è molto avanzata in materia: l’art. 18 del decreto legislativo 286/98 assicura infatti protezione alle vittime di tratta, inserendole in strutture di accoglienza e circuiti protetti, spesso gestiti dalle religiose. “Hanno arrestato tutti – dice -. In Nigeria invece chi è colluso è ancora a piede libero, perché c’è tanta corruzione. Non ne ho parlato con i miei genitori. Dopo tanti sacrifici che hanno fatto per me non volevo spezzare il loro cuore. Ma le mie sorelle lo sanno”.

Dove ha trovato il coraggio per denunciare? “Il mio sogno non era vivere una vita senza dignità – risponde -. Per me fare quel lavoro significava essere già morta. Quindi fare la denuncia e rischiare di morire è la stessa cosa”. Sunday è rimasta nella struttura protetta di accoglienza per sette mesi, qui ha potuto cominciare a ricostruirsi una vita. Ha imparato benissimo l’italiano, ora avvicina le ragazze in strada per convincerle ad uscire dalla rete implacabile che le costringe a prostituirsi. Ogni tanto ci riesce.

“E’ vero ci vuole tanto coraggio e non tutte ce l’hanno – precisa -. In Nigeria sanno che mi sono liberata. Sono tornata a casa mia ma nessuno mi ha fatto niente. Non sono io che devo nascondermi perché non ho fatto nulla: avevo il mio lavoro, perché mi sono venuti a cercare? Sono loro che devono scappare da me. Sono piena di rabbia e farò il possibile per dare forza alle altre ragazze, raccontando la mia storia e testimoniando che sono viva, che ce l’ho fatta. Ora mi sento utile”

. Chissà se nel frattempo è arrivato anche l’amore. “Per ora no, perchè ho perso la fiducia nelle persone”. Che tu possa ritrovarla, Sunday.

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