In Sud Sudan solo ieri nella capitale Juba sono state violentate 18 persone mentre i soldati fedeli al presidente Salva Kiir, tra le altre violazioni impunite, “hanno anche portato via 4.500 tonnellate di derrate alimentari” dai depositi della Fao.  La speranza di risoluzione del conflitto ancora una volta non viene dalla politica ma dal Papa: “Sappiamo che Papa Francesco sta seguendo molto da vicino ogni evoluzione. Qui da noi a Juba in questi giorni è stato inviato dal Papa il cardinal Peter Turkson”. Lo dice a Missionline padre Daniele Moschetti, superiore dei Missionari comboniani a Juba, che vive nella casa dei comboniani con altri cinque confratelli, proprio a ridosso del palazzo presidenziale di Kiir. Un furto che affamerà le tante persone già a corto di scorte. Il cibo era destinato ad una popolazione stremata dal conflitto, fuori e dentro i campi profughi. Dopo gli scontri delle settimana scorsa in queste ore regna un’apparente calma: la maggior parte delle ong, funzionari delle Nazioni Unite e contingente umanitario sono stati rimpatriati. Il cessate il fuoco è in vigore da martedì scorso, ma “le violenze, i soprusi e i saccheggi da parte dell’esercito regolare proseguono”, denuncia padre Moschetti. “Il furto di cibo destinato a 200mila persone in Sud Sudan significa almeno 20 milioni di dollari andati in fumo”, denuncia il missionario. Il conflitto in corso (la tregua potrebbe saltare in qualunque momento) assume sempre di più i connotati di una disputa etnica tra la maggioranza al potere, Dinka, e l’opposizione di etnia Nuer. Ma il rischio è che si allarghi: “In Sud Sudan ci sono 4 milioni di Dinka, ma esistono 64 etnie in tutto il Paese. Questo conflitto è forse il più complesso scoppiato in Africa perché è una matassa inestricabile”. “Sta cambiando molto il clima anche nei confronti della Chiesa: siamo tutti a rischio”, teme padre Daniele. I missionari rimasti in Sudan al momento sono 350 (gli internazionali), una quarantina gli italiani e 150 i locali. 47 le congregazioni presenti nel Sud Sudan. Gli scontri in Sud Sudan sono iniziati nel dicembre del 2013 quando Kiir accusò Machar di aver pianificato un colpo di Stato per far cadere il suo governo: in due anni si sono susseguiti scontri etnico-tribali, con rappresaglie casa per casa, villaggi rasi al suolo, migliaia di morti e oltre 2 milioni di sfollati.