Nei prossimi giorni  il Consiglio europeo – di cui fanno parte i capi di Stato o di governo dei 28 Stati membri dell’Ue, il presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione europea – sarà chiamato a discutere la proroga o meno delle misure restrittive nei confronti del regime siriano, in scadenza il prossimo 1 giugno e adottate 5 anni fa. Le misure che dovranno essere ridiscusse prossimamente riguardano, tra le varie cose, il bando di materiali che potrebbero essere usati per prodotti da impiegare poi nella repressione interna, di armi, di petrolio, di gas, di strumenti di telecomunicazioni atti a intercettare e monitorare, il blocco del commercio di oro e metalli preziosi con il Governo siriano, di beni di lusso, divieto di partecipare alla costruzione di nuovi impianti per la produzione di energia elettrica, di emissione di bond, restrizioni alla cooperazione con le banche siriane, restrizioni di movimento per alcune persone (divieto di visto e di viaggio), congelamento dei beni e risorse di persone e organismi vari. Le sanzioni, si legge nella nota informativa del Consiglio dell’Ue, “Misure restrittive dell’Ue”, sono uno degli strumenti dell’Ue “per promuovere gli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune (Pesc): pace, democrazia e rispetto dello stato di diritto, diritti umani e diritto internazionale. Le sanzioni si inseriscono sempre nell’ambito di un approccio strategico globale comprendente il dialogo politico e sforzi complementari, non sono punitive, bensì volte a generare un cambiamento nella politica o nelle attività del paese, delle entità o delle persone cui sono dirette.

L’Ue fa tutto il possibile per ridurre al minimo le conseguenze negative per la popolazione civile o per le attività legittime”.

L’embargo pesa su tutto il popolo. Non sembrano pensarla così, però, i promotori dell’appello “Basta sanzioni alla Siria e ai siriani”, lanciato pochi giorni fa e tra i quali figurano esponenti della Chiesa cattolica siriana come padre Georges Abou Khazen, Vicario apostolico dei Latini ad Aleppo, padre Joseph Tobji, arcivescovo maronita di Aleppo, padre Boutros Marayati, vescovo armeno di Aleppo, monsignor Jean-Clément Jeanbart , arcivescovo greco-cattolico di Aleppo, monsignor Jacques Behnan Hindo, vescovo siro-cattolico di Hassakè-Nisibi e Gregorio III Laham, patriarca dei Melchiti. Con loro anche religiosi e religiose di vari Ordini e Istituti presenti nel territorio siriano.

L’appello delle Chiese. “In cinque anni le sanzioni alla Siria hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l’attivismo delle milizie combattenti integraliste e terroriste che oggi colpiscono anche in Europa. E si aggiungono a una guerra, che ha già comportato oltre 250mila morti e sei milioni di profughi” si legge nel testo che sottolinea come “nel 2012 con decisione alquanto inspiegabile, veniva rimosso l’embargo del petrolio dalle aree controllate dall’opposizione armata e jihadista, allo scopo di fornire risorse economiche alle cosiddette forze rivoluzionarie e dell’opposizione”.

“Carenza di generi alimentari, disoccupazione generalizzata, impossibilità di cure mediche, razionamento di acqua potabile, di elettricità” sono le conseguenze dirette delle sanzioni

che rendono “anche impossibile per i siriani stabilitisi all’estero già prima della guerra di spedire denaro ai loro parenti o familiari rimasti in patria. Oggi i siriani vedono la possibilità di un futuro vivibile per le loro famiglie solo scappando dalla loro terra. La fuga non può essere l’unica soluzione che la comunità internazionale sa proporre a questa povera gente”. Da qui la richiesta che

“le sanzioni che toccano la vita di ogni siriano siano immediatamente tolte”.

“L’attesa della sospirata pace non può essere disgiunta da una concreta sollecitudine per quanti oggi soffrono a causa di un embargo il cui peso ricade su un intero popolo”. Non solo: “la retorica sui profughi che scappano dalla guerra siriana appare ipocrita se nello stesso tempo si continua ad affamare, impedire le cure, negare l’acqua potabile, il lavoro, la sicurezza, la dignità a chi rimane in Siria”. Così, scrivono i firmatari dell’appello,“ci rivolgiamo ai parlamentari e ai sindaci di ogni Paese affinché l’iniquità delle sanzioni alla Siria sia resa nota ai cittadini dell’Ue, oggi assolutamente ignari, e diventi, finalmente, oggetto di un serio dibattito e di conseguenti deliberazioni”.Lo scorso 20 maggio l’appello è stato inviato, tra gli altri, all’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, al premier italiano Matteo Renzi, al ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni. Ad oggi l’appello, presente sulla piattaforma digitale Change.org, ha raggiunto oltre 3300 firme.