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“Strana… mente Artista” a tu per tu Filippo Cruciani

Di Carlo Gentili, leggi le precedenti interviste, clicca qui

DIOCESI – Proseguono le interviste curate da Carlo Gentili agli artisti del territorio. Quella che vi presentiamo oggi è stata realizzata a Filippo Cruciani.

Lei è poeta, scrittore, commediografo: Come nasce la passione artistica? perché  si  avverte il bisogno di scrivere?  Cosa intende trasmettere con le sue opere? Ci parli del tuo rapporto con l’operazione artistica
Sentirmi definire poeta, scrittore e commediografo mi crea un certo imbarazzo, come se io fossi un artista affermato e consacrato da critici e, soprattutto, dal pubblico. Mi occupo di tutt’altro, che credo abbia poco di artistico.

Ho solo cercato di fare qualcosa di letterario. E’ stato sempre un mio sogno scrivere, forse come conseguenza di una formazione scolastica improntata quasi esclusivamente sugli studi classici. Pensi: ho cominciato a comprendere un po’ le materie scientifiche solo all’università. Veramente mi sarebbe piaciuto anche disegnare e suonare. Ci ho provato a lungo ma mi sono reso conto di non esserne capace; anzi: ero completamente imbranato. Scrivere, invece, mi era naturale ed era anche un’esigenza che proveniva dal fondo dell’anima. Rappresentava un momento in cui mi ritrovavo con me stesso.

Il nostro mondo interiore è grande come l’universo. C’è di tutto: solo alcune cose sono ben ordinate e accessibili, ma la maggior parte immerse in un magma caotico, non facilmente accessibili, quasi sempre mascherate, confuse, in un buio totale. Lì c’è tutta la nostra storia, c’è tutto l’ambiente che ha contornato la nostra esistenza, forse – anzi sicuramente – c’è di più: un infinito di cui non sappiamo la provenienza, che forse portiamo nei nostri geni, che racchiude tutta l’avventura umana. Per me scrivere era come scendere in quest’universo sconosciuto con una semplice pila e cercare di illuminare qualcosa per  focalizzarla e imprimerla definitivamente in espressioni che io, ma anche altri, avrebbero potuto ritrovare.

Più semplicemente era un momento in cui mi chinavo su me stesso e fissavo sulla carta momenti della vita che il turbinio della mente faceva scorrere come il vento davanti ai miei occhi.

Era anche un momento di distrazione, forse di evasione dalle tante problematiche professionali, che implicavano una forte partecipazione emotiva: quasi una cura antistress.

Con quali segni, ricercatezze, riferimenti o simboli caratterizza la sua arte? Quali riferimenti  sintetizzano il suo mondo artistico, tanto da renderlo riconoscibile nel suo stile?
Lavoro all’Università e mi occupo di ricerca. Ho pubblicato molti lavori scientifici. Ho faticato molto ad assimilare uno stile stringato essenziale, venendo da una formazione letteraria, che prediligeva, invece, uno stile composito, elaborato, personalizzato. Credo che oggi il mio stile sia una commistione delle due esigenze, non sempre ben riuscita.

Ma l’elemento fondamentale dei miei scritti, direi il minimo comune denominatore, è il rischio che la globalizzazione veloce ed inarrestabile dei nostri tempi distrugga tutte le culture del passato e specialmente quella delle nostre radici. In una prefazione ho scritto: “Mi piace paragonare al fuoco i tempi che siamo chiamati a vivere, perché tutto viene divorato in un consumismo sfrenato. Il fuoco, infatti, brucia ogni cosa, in poco tempo, in uno scenario spesso drammatico e spettacolare. Resta la cenere grigia e amorfa. Nella storia dell’uomo le culture si sono formate come stalattiti e stalagmiti, goccia a goccia per sedimentazione. Sempre lentamente hanno subito modificazioni. Ma con l’avvento dei tempi moderni i cambiamenti hanno cominciato a mostrare un andamento esponenziale, geometrico sino a che è scoppiato l’incendio. “Si pensi solo ai nostri dialetti: lingue compiute con grammatica e sintassi complesse, ormai quasi irrimediabilmente perse”.

In altre parole il travaglio drammatico che l’uomo di oggi vive in questo incendio è l’elemento ossessivo dei miei lavori. Nostalgia? Credo di no; ma non spetta a me dirlo.

Pensa che l’arte possa incidere nell’educazione e nella cultura? Se dovesse spiegare il suo pensiero artistico o filosofico ad un ragazzino o ad una scolaresca, cosa gli direbbe?

L’arte è l’uomo. E’ l’uomo che crea. E ogni uomo crea. E quando la sua creazione è bella, allora è arte.  L’arte è Bellezza. E la Bellezza, come dice Umberto Eco, è il godere qualcosa per quello che è, indipendentemente dal volerla possedere. Il bello è un bene che non suscita il nostro desiderio. A una scolaresca farei vedere diapositive della Basilica di San Pietro, di una via di New York, del Duomo di Milano, di un quadro di Van Gogh. Contemporaneamente farei ascoltare musiche diverse: brani di gregoriano, di lirica, di rock, di jazz, di rap…Farei capire loro che la Bellezza ha sempre la stessa essenza, ma si vernicia in modo diverso a seconda della cultura, del periodo storico, della geografia, della sensibilità individuale.

Perché l’Italia-Patria dell’arte- è così disattenta all’arte ed alla cultura? Cosa si potrebbe fare per trasmettere, divulgare al meglio e far amare  l’arte?
Le rispondo semplicemente con un detto che mia madre mi ripeteva da piccolo:
“il troppo stroppia”.
Per un Natale di qualche anno fa scrissi:
“ Un mottu andicu dice: “O troppo stroppia”,
e mo, che a panza piena u munnu sale,
se vutta o grano e non se rcoje a stoppia”

I suoi ricordi  piu’ belli  legati all’arte, alla poesia?  Le soddisfazioni piu’ grandi ….
Mi creda il momento più bello è quando scrivo e la penna corre da sola sulla spinta di una fantasia libera che vola più in alto di un’aquila e più veloce di un aereo. Un altro momento è quando, spettatore, seguo la rappresentazione di una mia commedia. A volte resto stupito e mi chiedo: “L’ho scritto proprio io questo passaggio? Però…”. Poi, se  gli applausi del pubblico sono spontanei e insistenti, mi sento importante e gongolo. Ma riappare mia madre che mi sussurra: “Chi si loda si sbroda”.

Ci parli della sua pubblicazione “La luna mi raccontò”…..
E’ la raccolta delle mie commedie, di alcuni racconti e di alcune rime, curata da Peppino Mariucci: un grande, non perché sia mio cognato, ma per le sue capacità organizzative, per la sua passione per il teatro, per ciò che profuma di artistico, nonché per le sue doti di scrittore. Pensi: ha fatto pubblicare quanto di bello è stato prodotto nel nostro piccolo mondo contadino e ha gestito una compagnia teatrale che ha girato non solo le Marche, ma anche altre Regioni d’Italia.

Perché la Luna? Perché è una costante obbligata della nostra cultura marchigiana. E’ la pietra miliare, il punto di riferimento del divenire delle cose. E’ l’unità di misura cronologica dei costanti e mutevoli cicli della natura. E’ la luna che fissa il tempo di tutte le attività contadine (Ci vuole la luna “vona” per tutto). Ma non solo, posta nel mezzo del cielo, ha il potere di controllare tutto e tutti (un residuo di paganesimo?). Infine rappresenta il tratto di unione, il catalizzatore tra il reale e l’irreale, tra il fisico e il metafisico, tra la realtà vivente e l’aldilà, in una cultura in cui i due mondi non sono ben divisi, senza confini netti.

Come nasce la collaborazione con la Compagnia “Il Murello” di Montelparo?
Per caso. Ho assistito a una rappresentazione che scimmiottava una commedia inglese, lontana anni luce dalla nostra cultura. Mi sono detto: -“Devono portare sulla scena il nostro mondo: solo così la gente li seguirà, perché il teatro è la rappresentazione della nostra vita”-. E ho iniziato a scrivere, nei pochi momenti di tempo libero, dovunque e su pezzi di carta che mi trovavo a portata di mano. Non è stato facile convincerli poi a scegliere la mia commedia. Ma ci ha pensato Peppino.

Arte come altruismo o arte come espressione individualistica? Arte come espressione personale o come impegno sociale?
L’arte, in ogni sua manifestazione, ha una valenza sociale. Se non esce dagli stretti confini dell’individualismo, non è arte. E’ un prodotto per tutti. Perché la Bellezza è universale. Credo che il “Bello” veicoli sempre, sia pure in modo differente e non sempre apprezzabile, il “Buono”. L’impegno sociale può essere esplicito e dichiarato, può essere nascosto e non visibile, può anche essere travisato, ma credo che ci sia sempre in ogni manifestazione artistica.

Arte e spiritualità nella tua opera.  Spirito Religioso o misticismo laico entrano nel tuo percorso artistico?
Ho avuto un’educazione profondamente religiosa. Mia madre veniva da una famiglia in cui Dio era costantemente presente. Ogni sera, appena a letto, a me e ai miei fratelli faceva dire le preghiere e, ricordo, anche per tutti i defunti, ricordati ad uno ad uno.  Alcune giaculatorie ancora oggi mi ritornano in mente. Non c’erano domeniche o feste comandate senza una o più messe, mese di maggio senza “funzione”, venerdì con carne a tavola. Questa impostazione religiosa è talmente radicata in me, che, nonostante le vicissitudini della vita, ha caratterizzato sempre il mio modo di essere. Anche quando l’ho voluta nascondere, è riemersa sempre con prepotenza. Credo traspaia abbondantemente dai miei scritti.

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