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Panama Papers, poca indignazione in Italia

Di Stefano De Martis

Per 30 milioni d’italiani il 15 aprile scatta l’operazione dichiarazione dei redditi. Il 730 e l’Unico pre-compilati diventano disponibili on-line e si avvia la procedura che avrà scadenze articolate nei mesi successivi. Al netto dei problemi tecnici e interpretativi, l’intento di semplificare quello che resta l’appuntamento simbolicamente più carico del rapporto tra cittadino e fisco è ovviamente lodevole. Vero è che l’Irpef è soltanto una delle tante imposte che accompagnano la vita produttiva degli italiani. Proprio in questi giorni, per esempio, sono stati diffusi i dati relativi alle addizionali comunali che disegnano una geografia surreale da cui risulta che a pagare di più sono mediamente i cittadini più insoddisfatti delle rispettive amministrazioni locali.

Perché alla fine il problema è proprio questo: pagare non è un piacere per nessuno, anche per chi lo fa con spirito di giustizia e senso di solidarietà, ma se fosse meno evanescente il nesso tra il contributo versato, la sua destinazione finale e la ridistribuzione delle risorse così accumulate, allora il vissuto dei cittadini rispetto al sistema fiscale nel suo complesso sarebbe profondamente diverso.
Quest’anno, poi, per un’imprevedibile coincidenza, tutto questo s’intreccia con le cronache sui cosiddetti Panama Papers. La vicenda della diffusione di un’enorme quantità di documenti relativi all’imboscamento di tesori e tesoretti personali o societari in un “paradiso fiscale” per evitare di pagare tasse ingenti nel proprio Paese o per traffici criminali su scala internazionale – non a caso all’affaire si è dato un nome che sembra il titolo di un romanzo di Le Carré – è una storia ancora tutta da scrivere. E ciò sia per gli effettivi contorni e contenuti della vicenda medesima, sia per le sue conseguenze a livello politico globale.
Ma se proviamo a mettere mentalmente a confronto i 30 milioni di modulini pre-compilati di lavoratori e pensionati con le misteriose carte provenienti da uno studio legale di Panama, relative a potenti e ricconi di ogni latitudine, l’immagine è di grande impatto e l’effetto è straniante.

Se non si è creata in Italia un’ondata d’indignazione pari a quella che si è registrata in altre nazioni, è perché i nomi di maggior peso coinvolti nella vicenda non sono italiani. E perché siamo alle prese con scandali di casa nostra di più immediata ricaduta politica e di più sapido intrigo relazionale.

Fa male dirlo, ma forse c’è anche una sorta di rassegnazione davanti a un fenomeno, quello dell’evasione fiscale, che pur essendo socialmente evidente non si riesce a contrastare ancora in modo efficace. Tanto più che le contraddizioni del sistema fiscale e dei suoi meccanismi applicativi sono tali che anche un povero cittadino deciso a comportarsi onestamente rischia di ritrovarsi suo malgrado – e magari per un’inezia – dalla parte dei “colpevoli”. E questo impedisce alla lotta all’evasione fiscale di diventare un tema decisivo di mobilitazione sociale e mette in ombra la necessità di una profonda riforma del sistema impositivo, al punto che l’indignazione dei cittadini si riversa molto più sugli apparati chiamati a riscuotere e a controllare che sulle ingiustizie del sistema in sé.
Che ci sia bisogno di una riscrittura dell’Irpef in cui si tenga conto “che in questa fase storica sono le persone e le famiglie i soggetti maggiormente presi, insieme alle piccole e medie imprese, nella morsa della crisi e del cosiddetto cuneo fiscale”, lo afferma uno dei maggiori esperti di diritto tributario, Franco Gallo, già presidente della Corte costituzionale e ministro delle finanze del governo Ciampi. Gallo propone anche di “integrare la leva fiscale con l’erogazione di contributi sociali specifici” e di “potenziare il servizi alla famiglia”. Se il professor Gallo scrive questo sulla prima pagina del Sole24Ore, è perché ormai è chiaro che da qui occorre ripartire se si vuole dare un significato concreto alla parola “ripresa”. Il fisco non sarà mai un “paradiso”, ma giusto ed equo può e deve esserlo. E comunque è compito di tutti non farlo diventare un “inferno”.

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