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Per continuare il confronto: non basta essere dottrinalmente preparati…

Leggi la prima riflessione a firma di Don Pierluigi Bartolomei Io sono uno di quei bambini che hanno fatto solo disegni

La lettura dell’articolo “L’analfabetismo religioso dei giovani delle parrocchie” ha suscitato anche in me alcune perplessità. Ho letto tra le righe, seppur velatamente,   una critica al Concilio Vaticano II e ancor di più al rinnovamento della catechesi voluto dalla Chiesa italiana. È un articolo che trasuda nostalgia verso un mondo che per fortuna non c’è più e che certamente non era migliore di quello di oggi: in ogni tempo agisce lo Spirito di Cristo e conduce, nonostante tutto il Regno di Dio verso il compimento. Tra l’altro non dobbiamo dimenticare che  i giovani di oggi sono il frutto proprio di quella generazione di cristiani  che sapevano a memoria il catechismo di S. Pio X . È chiaro che un conto è memorizzare dei concetti,  un conto è vivere una sequela. Secondo il mio modesto parere le cause di questa situazione non vanno cercate solo nella Chiesa ma anche nel fatto che ci troviamo , come ha ricordato Papa Francesco a Firenze di fronte non ad un epoca di cambiamento ma ad un cambiamento d’epoca. Certamente a livello ecclesiale si può dire che le cause della confusione che, non solo i giovani,  oggi vivono non vanno cercate in quello che è successo in questi ultimi 30/40 anni, ma forse da ben otto secoli, da quando cioè l’uomo ha iniziato a pensare che è sufficiente sapere le cose per farle. La fede non è essenzialmente questione di idee astratte da conoscere ma, come ben ci hanno ricordato gli ultimi papi, di relazione da vivere con la persona viva e presente di Gesù, morto e risorto per noi. Ho sempre creduto che i più grandi nemici del cristianesimo sono l’idealismo e il moralismo, che mi pare di riscontrare in parte in questo articolo. In conclusione se non si può negare l’ignoranza e la confusione dei giovani d’oggi circa la fede, c’ê da dire che sicuramente non lo sono per colpa loro né perché non sono esperti della pur necessaria teologia. A volte i ragazzi ” dottrinalmente preparati” sinceramente mi fanno quasi paura. Preferisco giovani che si riconoscono fragili e deboli ma in ricerca, dando così al Signore la possibilità di agire e farsi presente. In quanto prete penso che questa situazione mi chiede di stare in mezzo ai giovani, costruendo relazioni belle e positive, senza pregiudizi, senza dimenticare la,legge dell’Incarnazione che chiede di vivere qui ed ora, camminando con loro come Gesù con i discepoli di Emmaus, ricordando le Scritture e spezzando il pane fino all’apertura degli occhi per riconoscere Gesù a scaldare il cuore per amarlo nella,concretezza dell’amore fraterno.

Don Giuseppe Giudici

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