immigrazioneLeggi i primi due articoli a firma di Don Gian Luca Rosati:
– Don Gian Luca Rosati inaugura una nuova rubrica sulle opere di Misericordia
– Rubrica Opere di Misericordia, Don Gian Luca Rosati: “Dare da mangiare agli affamati”

L’autore della Lettera agli Ebrei esorta: «L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,1-2).

Davanti a me si presenta per primo Abramo (Gen 18), poi Lot (Gen 19), Tobia (Tb 5, 4-5),… infine i due discepoli di Emmaus (Lc 24).

All’inizio penso che questi due siano del tutto forestieri in una pagina dedicata alla quarta opera di misericordia e allontano il pensiero cercando nella memoria altri esempi di accoglienza. Ma non c’è niente da fare: più tento di chiudere la porta, più i due discepoli si affacciano chiedendo di lasciarli entrare e di ascoltarli anche solo per un momento: «Poi ce ne andremo e ti lasceremo in pace», promettono.

Non posso fare altro che fidarmi.
Entrano, si siedono e cominciano a raccontare:
«Quel giorno eravamo in cammino verso Emmaus, un villaggio distante circa undici chilometri da Gerusalemme e stavamo discutendo di tutto quello che era accaduto. Si avvicinò a noi un forestiero, uno che sembrava non essere per niente pratico del luogo: non sapeva neppure ciò che era successo a Gerusalemme! Allora gli raccontai quello che era successo a Gesù e gli confidai le nostre speranze deluse e poi la sconvolgente notizia portata dalle donne che “si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo” (Lc 24, 22-23). Infine, gli dissi di come alcuni dei nostri “sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non lo hanno visto” (Lc 24, 24).

Era come se tutto questo ci oscurasse la vista: dal momento della crocifissione non c’era più colore nelle cose intorno a noi, non c’era più voglia di sorridere, di sperare, di camminare. Era come se non ci fosse più gusto nelle cose che fino a quel momento erano state piene di senso per tutti noi. Era morto Gesù e il giogo all’improvviso s’era fatto pesante: non riuscivamo a vederlo sulle nostre strade, non riconoscevamo la sua presenza accanto a noi. Una fredda solitudine avvolgeva i nostri cuori.

E parlarne tra noi serviva a poco: i nostri volti tristi ne erano testimoni.

Non so perché avevamo aperto il cuore a quel viandante incontrato sulla strada, forse perché anche lui andava verso Emmaus e camminare insieme ci aveva reso subito compagni. Restammo un po’ meravigliati quando, dopo averci ascoltato, rispose: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26).
Ci colpirono quelle parole: sembrava che in noi si riaccendesse qualcosa.
Ma che cosa?
I chilometri trascorsero in fretta. Il passo s’era fatto leggero e il nostro non era, come all’inizio, un vagare stanco; ci pareva di essere condotti per mano da qualcuno. Forse era solo un’impressione dovuta al desiderio di tornare indietro ai giorni più belli, quando il maestro indicava la strada e noi lo seguivamo sicuri: la sua parola era autorevole; egli sapeva dove andare.

Quel forestiero non lo conoscevamo, ma le sue parole avevano un effetto benefico in noi e alla fine ci ritrovammo in due a confidarci di aver vissuto la stessa esperienza: “Non ardeva in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24, 32).

Intanto eravamo arrivati a Emmaus ed “egli fece come se dovesse andare più lontano” (Lc 24, 28). Ma noi lo pregammo con insistenza: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (Lc 24, 29). Egli entrò per rimanere con noi.

Quando fu a tavola, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede a noi.

Allora si sono aperti i nostri occhi e lo abbiamo riconosciuto: era Gesù!

Ma egli era sparito dalla nostra vista.

Ci restava la certezza di averlo incontrato e la gioia di saperlo vivo e realmente presente accanto a noi. Fu la gioia di non essere soli a rimetterci in strada perché non c’era tempo da perdere, ma bisognava subito tornare a Gerusalemme e raccontare agli altri quello che ci era accaduto».

Terminato il racconto, con gli occhi sorridenti mi guardavano in attesa di una mia risonanza a quanto avevo ascoltato. Stavo ancora pensando a come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane e non risposi prontamente.

Il mio silenzio spinse Cleopa a riprendere la parola per chiedermi: «Ma ancora non hai capito perché siamo venuti a trovarti?».

Cominciavo a intuire qualcosa, ma preferivo che fossero loro a esplicitare il motivo di quella visita.

Cleopa continuò: «Noi abbiamo accolto il forestiero, gli abbiamo dato confidenza raccontandogli qualcosa di noi, praticamente lo abbiamo fatto entrare nella nostra vita senza sapere chi fosse. Ma in realtà, è stato lui ad accoglierci per primo: egli si è fatto prossimo e s’è messo a camminare con noi, perché sapeva che avevamo bisogno di stare con lui; egli ci ha lasciato parlare e poi ha condiviso con noi la sua visione di quelle stesse cose. A noi sembravano oscure ed egli le ha rischiarate con la sua luce, la luce del Vangelo. È stato lui a rivedere i suoi programmi e a cedere alla nostra insistenza quando gli abbiamo chiesto di rimanere con noi.
E, una volta seduti a tavola, quanti ricordi si sono accesi e quante parole e gesti ci sono tornati in mente: “… chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27).

Si ripresentava alla nostra memoria l’ultima cena e il suo gesto di lavarci i piedi con la raccomandazione di fare noi altrettanto a ciascuno dei fratelli che avremmo incontrato. Lavare i piedi dell’altro è un gesto di accoglienza, è il gesto di chi per amore si fa servo.

Questo il forestiero ci aveva ricordato e insieme ci aveva rassicurato che egli avrebbe accompagnato ogni nostro passo e, nello stesso tempo, sarebbe stato presente in ciascuno di quegli uomini e donne a cui ci saremmo fatti prossimi.

Siamo partiti senza indugio e da quel giorno ogni cristiano, senza indugio, sa cosa deve fare: per amore di Gesù, accogliere, incoraggiare, rialzare, sostenere, curare ogni fratello che incontrerà sulla sua strada.

Questo vorremmo che scrivessi ai tuoi lettori!».

Mi guardavano soddisfatti per la testimonianza che mi avevano offerto e furono ancora più contenti quando, pieno di gratitudine, li invitai a restare a pranzo. Interpretarono giustamente il mio invito come il segno che avrei scritto ciò che mi avevano suggerito.

Cari lettori, non aggiungo altro al racconto dei due discepoli di Emmaus, solo vi chiedo di non accontentarvi di queste parole, ma di ascoltare ogni giorno la Parola che Dio ci rivolge, attraverso quel tesoro prezioso che non siamo costretti a chiudere in cassaforte: il Vangelo.

Saranno l’ascolto costante della Parola di Dio, la partecipazione attiva all’Eucaristia e l’incontro con Dio negli altri Sacramenti ad aprire il nostro cuore perché vi trovi spazio ogni forestiero!

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