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Dal “campo nomadi” all’autonomia. Il riscatto delle donne rom contro i pregiudizi

Di Patrizia Caiffa

Suzana ha ventinove anni, un marito e cinque figli. Non sa ancora leggere e scrivere. Per il suo intervento in pubblico ha preso appunti tracciando dei disegni su un foglio. Lei e la sua famiglia, come tanti altri, vive in uno dei “campi nomadi” della capitale, quello di via Salone, spesso oggetto di contestati sgomberi. Il suo sogno: “Vivere in una casa e dare un futuro ai miei figli”. Un sogno a portata di mano, per molti italiani. E’ invece un ostacolo enorme da superare, insieme ai pregiudizi, per i rom. Appena scesa dal palco scoppia a piangere per l’emozione insieme all’amica Marija, quattro figli e stessi sogni. Sono state convocate a Villa Glori, insieme a tanti rom e operatori del settore, dalla Caritas di Roma, per il seminario “Superamento dei ‘campi nomadi’. Quale accompagnamento all’autonomia”. La loro esperienza, nell’ambito del progetto “RomAtelier”, è una delle tante buone pratiche di cui è si parlato.

“RomAtelier”, un percorso verso l’autonomia. Il progetto “RomAtelier” è nato tre anni fa per volontà del cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma. Mirato a un inserimento lavorativo delle donne rom tramite un’attività di sartoria, coinvolge varie realtà ecclesiali: oltre alla Caritas di Roma, Migrantes e Comunità di Sant’Egidio, con la spinta di mons. Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma per tanti anni impegnato con Migrantes. Oggi vi partecipano dieci donne rom. “Negli anni il progetto si è evoluto – spiega Fulvia Motta, dell’area rom della Caritas di Roma – perché abbiamo capito che il percorso per raggiungere un’autonomia lavorativa è molto più complesso: deve partire dalle capacità e dalle attitudini personali, aiutando ciascuna donna a trovare la propria strada”. Nel laboratorio di sartoria, che ha sede a Lungotevere dei Vallati nei locali messi a disposizione del Vicariato, il progetto si è strutturato in maniera più ampia, fornendo le nozioni più varie: i rapporti con le amministrazioni, l’igiene della casa, i trasporti, la ricerca del lavoro, le regole e i rapporti con i colleghi, il datore di lavoro e gli utenti. Il team, con due assistenti sociali e numerosi volontari, è stato affiancato dal Centro di orientamento al lavoro del Comune di Roma, con la costruzione di percorsi formativi specifici: perfezionamento dell’italiano, licenza media, corsi di panetteria, parrucchiere, ecc. “Oggi cinque donne stanno svolgendo un tirocinio – dice Motta -, due hanno avuto un contratto di lavoro. Le donne crescono e fanno crescere noi”.

“Speriamo di poter dare ai nostri figli una casa”. “Avevo un forte desiderio di cambiare vita, ma soprattutto di dimostrare che si può lavorare onestamente e uscire da un campo – racconta Suzana –. Il progetto ‘RomAtelier’ mi ha dato la possibilità di imparare la tessitura, il cucito. Mi ha insegnato tante piccole cose della vita quotidiana. Ora so gestire molto meglio il tempo. C’è stato un grandissimo cambiamento nella mia vita e spero un giorno di avere un lavoro”. “Siamo orgogliose di quello che abbiamo fatto perché non è solo per noi ma per un futuro migliore per i nostri figli”, conferma Marija, che ora svolge un tirocinio in un supermercato, ha preso la patente e la licenza media. Entrambe seguono questo percorso da due anni, con qualche difficoltà e resistenza da parte della comunità: “Il nostro sogno è di uscire dal campo e poter raccontare ai nostri figli come siamo riusciti ad arrivare a questo punto. Oggi siamo contente: abbiamo a disposizione una stanza dove possono invitare i compagni di classe senza doversi vergognare”. Mihaela, 23 anni, due figli e due occhi di un azzurro trasparente, mostra con orgoglio, insieme a Mila, 18 anni, un cartellone con le attività svolte all’interno del “RomAtelier”. Anche loro vivono in un campo. “Questo progetto ci ha dato una maggiore autonomia – spiega Mihaela -, che per le donne rom è molto difficile. Il nostro sogno è avere un lavoro fisso, un futuro migliore. Ci sono tanti pregiudizi nei nostri confronti e questo ci fa soffrire tantissimo. Grazie a chi ci dà la possibilità di dimostrare che vogliamo migliorare. Spero tanto di poter dare ai miei figli una casa”.

 

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