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Torna la Colletta Alimentare: educare all’umanità, riconoscendola in ogni persona

DIOCESI- Ritorna l’appuntamento con la solidarietà, in cui si rinnova un gesto semplice e spontaneo: donare una parte della propria spesa a chi ne ha bisogno. E sono sempre di più, anche nella nostra Diocesi, le persone che chiedono un aiuto alla Caritas diocesana. Molte famiglie ricevono assistenza e supporto dai volontari della “Casa della Carità”, perché la crisi non è ancora alle spalle e continua a colpire fasce di popolazione sempre più ampie.

“Oltre 4 milioni di persone in Italia – ricorda il Banco Alimentare – soffrono di povertà alimentare, come ci ha ricordato Papa Francesco nell’udienza dedicata alla rete di carità del Banco Alimentarela fame oggi ha assunto le dimensioni di un vero “scandalo” che minaccia la vita e la dignità di tante persone – uomini, donne, bambini e anziani -. Ogni giorno dobbiamo confrontarci con questa ingiustizia, mi permetto di più, con questo peccato, in un mondo ricco di risorse alimentari, grazie anche agli enormi progressi tecnologici, troppi sono coloro che non hanno il necessario per sopravvivere. Ma tutti possono fare qualcosa…qualcosa di umile, e che ha anche la forza di un miracolo. Prima di tutto possiamo educarci all’umanità, e a riconoscere l’umanità presente in ogni persona, bisognosa di tutto”.

Anche quest’anno, in circa 11 mila punti vendita del Paese, ci saranno gli oltre 350 mila volontari con le pettorine gialle, che inviteranno a donare cibi a lunga conservazione (i più richiesti sono alimenti per l’infanzia, riso, olio, legumi, sughi e pelati) che verranno distribuiti a 8.100 strutture caritative (mense per i poveri, comunità per minori, banchi di solidarietà, centri d’accoglienza, ecc. ) che aiutano circa 1 milione e 560 mila persone bisognose in Italia, di cui quasi 135 mila bambini fino a 5 anni.

Non un gesto meccanico, ma spontaneo momento di condivisione, che la comunità si augura possa contribuire ad alleviare il disagio dei più bisognosi, dei sempre più “meno fortunati”.

Marco Sprecacè: