“Se la cintura esplosiva dei terroristi ci fa paura perché può ucciderci in un istante, non dimostriamo la stessa capacità reattiva di fronte ai cambiamenti climatici che producono sull’umanità effetti comparabili a centinaia di bombe atomiche che esplodono al rallentatore. Noi le stiamo sganciando, ma gli effetti ricadranno sui nostri figli, nipoti e pronipoti”. Questo il forte grido d’allarme che si è innalzato per bocca dell’economista Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico dell’associazione Greenaccord, al termine del XII Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura, svoltosi a Rieti dal 18 al 21 novembre, col provocatorio titolo “Clima: ultima chiamata”.
Verso il Cop21 di Parigi. L’allarme lanciato durante il Forum non è fine a se stesso, ma orientato a sollecitare decisioni concrete e vincolanti durante l’imminente Cop21, la conferenza internazionale sul clima, prevista a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre, con lo scopo dichiarato di raggiungere un accordo universale e vincolante sul clima, per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C. “A Parigi non si va per risolvere gli equilibri politici dei singoli Stati, per decidere le sorti di qualche governo o orientare future elezioni politiche – ha ammonito Masullo -; a Parigi si decide, come fu 250 anni fa, il futuro dell’umanità”.
Lo scenario attuale. Il quadro emerso durante i lavori del convegno con il contributo dei migliori scienziati del mondo, è davvero preoccupante. “Se oggi 1 miliardo di persone non ha accesso ad acque potabili sicure – ha spiegato Masullo -, nel 2025 ciò sarà la realtà di 2,5 miliardi di persone. Se è vero che la civiltà si è sviluppata grazie agli ultimi 11mila anni di stabilità climatica, ciò che sta accadendo al clima rischia di segnare la fine della civiltà entro 200-300 anni”. Del resto, sono i dati oggettivi a fare da sfondo a questo allarme. “I numeri – osserva Jean-Pascal van Ypersele, climatologo belga ed ex vice presidente Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) – evidenziano come il destino del pianeta Terra sia totalmente nelle mani dell’uomo e delle sue scelte. L’influenza umana sui fattori climatici è pari al 95%”. Secondo il V Rapporto Valutativo 2013-2014 (Onu), oltre all’innalzamento nelle temperature, a destare preoccupazione è il livello e l’intensità delle precipitazioni, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento di oltre 30 cmt del livello del mare registrato negli ultimi 100 anni. “Entro fine secolo – afferma Van Ypersele – arriveremo ad un aumento della temperatura media globale tra i 4° e 6°C. Secondo le proiezioni dell’Ipcc, l’innalzamento del livello del mare sarà compreso in una forbice tra i 30 cm e il metro”.
Insomma, uno scenario da brividi, che attende risposte urgenti e concrete, figlie di un’assunzione di responsabilità collettiva, a livello mondiale.
Quali le possibili soluzioni? L’individuazione e la pianificazione delle possibili soluzioni passa inevitabilmente per una previa presa di coscienza del problema, cosa per nulla scontata. “Questi cambiamenti, declinati in termini di abitabilità del pianeta, – denuncia Van Ypersele – non sono ancora compresi dagli stessi addetti ai lavori”. Ma come ridurre le emissioni? Sotto il profilo tecnico-operativo, “servono tecnologie più pulite per la produzione e il consumo di energia, per contenere al di sotto dei 2 gradi l’innalzamento delle temperature globali, con un intervento di riduzione delle emissioni di CO2 tra il 40% e il 70% entro il 2050”. Certamente si tratta di interventi importanti, ma sicuramente sostenibili, dato che “in termini economici avrebbero un costo pari allo 0,06% del Pil mondiale”, conclude il climatologo belga.
Un’economia da “convertire”. Ma il vero e radicale cambiamento richiesto è anzitutto a livello di scelte economico-finanziarie. E sì, perché i preoccupanti cambiamenti climatici in atto non sono certo una casualità, né “un semplice incidente di percorso nel cammino trionfale del capitalismo consumista – afferma Masullo -. Le disuguaglianze e la povertà non nascono da una scorretta applicazione del modello, ma sono dei prodotti inattesi e indesiderati del sistema di valori su cui si fonda la fase più recente della civiltà moderna, in cui i valori mercantili hanno la priorità sui valori umani. Un’economia fondata sull’accumulo competitivo di ricchezza, più si avvicina ai limiti fisici del pianeta è più ha bisogno di produrre povertà da una parte, per continuare a produrre ricchezza dall’altra”. Del resto, è facile prevedere che gli effetti dell’innalzamento climatico saranno pagati più a caro prezzo dai Paesi più poveri, assai vulnerabili in tema di impatto e di adattamento ai cambiamenti climatici. Ecco allora che al Cop21 di Parigi, i rappresentanti dei governi dovranno avere il coraggio di operare una vera e propria “conversione ad U”, che rimetta al centro il benessere dell’umanità rispetto a meri interessi di mercato, aggravati da miopi egoismi nazionalistici che generano pesanti ingiustizie verso i più deboli e poveri. Insomma, il messaggio del Forum internazionale di Rieti ai “grandi” del Cop21 è chiaro: la situazione può ancora essere invertita, ma dobbiamo fare presto. Il tempo a nostra disposizione sta per scadere!