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Iraq, il patriarca caldeo contro la legge sull’islamizzazione dei figli con meno di 18 anni

Daniele Rocchi

È fissato per questa mattina (10 novembre) l’incontro tra il patriarca di Babilonia dei Caldei nonché presidente della Conferenza episcopale irachena, Louis Sako, e il capo del Tribunale supremo dell’Iraq – massima istituzione giudiziaria del Paese – Madhaat al Mahmoud. Al centro dell’incontro la legge sull’islamizzazione dei figli che obbliga i minori di 18 anni ad abbracciare in modo automatico la religione musulmana, nel caso in cui anche solo uno dei due genitori decida di convertirsi all’Islam. Una norma che, per il patriarca, lede il diritto alla libertà religiosa. Per contrastarla nei mesi scorsi la Chiesa irachena, insieme a diversi musulmani e ong impegnate nel campo dei diritti umani, avevano presentato un emendamento che prevedeva che i minori restassero della religione di nascita, per poi decidere in modo autonomo al compimento del 18esimo anno di età. Emendamento bocciato a fine ottobre dal Parlamento con 137 voti e solo 51 favorevoli. “Lo scorso 5 novembre ho incontrato il presidente iracheno Fouad Masoum – riferisce il patriarca caldeo al telefono da Baghdad – che ha riconosciuto alcune violazioni costituzionali nella norma introdotta e ha assicurato ogni sforzo per trovare una soluzione realistica a questo problema. Stasera nella chiesa caldea di san Giorgio a Baghdad si terrà una manifestazione di protesta da parte di gruppi cristiani, yazidi e sabei”.

“In caso di applicazione di questa legge – dichiara  il patriarca Sako – faremo sentire la nostra voce a livello internazionale e faremo in modo che l’Assemblea dei deputati debba rispondere per questo al tribunale internazionale”.

Duplice opposizione. L’opposizione del Patriarca a questa legge è di natura teologica e storica. “Essa – spiega in una nota – paventa una procedura  fra le più discriminatorie in assoluto perché mostra una totale indifferenza verso i valori della civiltà irachena e nei confronti di quanti sono considerati fra i primi cittadini di questo Paese” vale a dire i cristiani. “Tutto questo è una minaccia all’unità della nazione, così come all’equilibrio sociale, al pluralismo religioso e al principio che prevede di accettare l’altro nella sua diversità, con la sua situazione peculiare e la vita in comune”. La scelta del Parlamento di votare una legge simile, per Mar Sako,

“è contraria al Corano stesso,

che indica in più di un versetto che non vi è alcun obbligo nell’abbracciare una fede religiosa. Tutto questo contrasta con il pensiero dei più grandi teologi musulmani, fra i quali Mostafa al Zalmi”. Ma non basta. Questa legge “calpesta anche più di una norma della Costituzione irachena, come gli articoli 3, ‘l’Iraq è una nazione composta da etnie, religioni e denominazioni diverse’, 37 (comma 2), ‘il Paese garantisce la protezione dell’individuo contro qualsivoglia coercizione dottrina, politica e religiosa’, e 42, ‘ciascun individuo possiede libertà di pensiero, di coscienza e di ideologia’. E dal momento che facciamo parte della comunità internazionale, questa legge è contraria alle norme sui diritti dell’uomo e ai trattati internazionali”.

Non vincolare la religione. La strada da percorrere, ribadisce il patriarca caldeo, è quella di “rivendicare il principio secondo cui il minore deve mantenere la propria religione di appartenenza per poter decidere liberamente la propria fede, secondo le convinzioni personali, al raggiungimento della maggiore età. Del resto la religione è un aspetto che riguarda solo la relazione fra Dio e l’uomo, e non deve essere vincolata ad alcun obbligo”. Dal canto loro, sottolinea il patriarca nella nota,

i parlamentari farebbero bene a preoccuparsi che un individuo diventi  un buon cittadino piuttosto che immischiarsi nella sua fede religiosa.

Per questo noi ci appelliamo al presidente della Repubblica d’Iraq, Fouad Masoum, perché rispedisca la legge alla Camera dei Deputati affinché sia modificata; al tempo stesso, esortiamo i deputati ad assumersi le loro responsabilità, perché creino davvero condizioni di giustizia e di uguaglianza fra tutti i cittadini iracheni”. Diversamente “faremo sentire la nostra voce” a livello globale, fino a citare l’Assemblea dei deputati davanti “al tribunale internazionale”.

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