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Il primo trapianto di fegato da donatore a “cuore non battente”

Ancora un successo per la trapiantologia italiana. E per di più, di rilievo scientifico internazionale. All’Ospedale Niguarda di Milano, infatti, per la prima volta in Italia, è stato realizzato un trapianto di fegato, prelevato da un donatore “a cuore non battente”. Ne ha beneficiato un uomo di 40 anni, affetto da malattia epatica terminale. Questa metodica, già applicata con successo per il trapianto di cuore, è stata così estesa anche al fegato. L’intervento, che ha coinvolto l’Ospedale Niguarda, il Policlinico S. Matteo di Pavia e il Centro nazionale trapianti, in realtà è stato eseguito lo scorso 3 settembre, ma solo ieri (14 settembre) ne è stata data ufficialmente notizia. L’innovativa operazione ha dunque permesso per la prima volta l’utilizzo di un fegato, a fini di trapianto, “anche dopo il prolungato periodo di assenza di attività cardiaca (20 minuti secondo la legge italiana) – sottolinea una nota del Niguarda – un intervallo che avrebbe potuto esporre gli organi a danni irreversibili e compromettere il buon esito del trapianto”.
La peculiarità dei trapianti di organi prelevati da cadavere “a cuore non battente” sta nel fatto che la morte del donatore, in condizioni di arresto cardiaco, viene accertata con criteri cardio-circolatori, anziché neurologici. Per questa tipologia di accertamento, la legge italiana prevede un tempo d’osservazione e di tentata rianimazione di 20 minuti dal momento dell’arresto cardiaco (mentre in molti altri Paesi europei è di soli 5 minuti). Un tempo abbastanza lungo perché, data l’assenza di perfusione ematica, organi particolarmente delicati come il fegato possano subire dei danni irreversibili, il che li renderebbero inutilizzabili ai fini del trapianto. È proprio per questa ragione che, finora, questa tecnica non era mai usata nel nostro Paese.
Ma questa volta, i medici hanno provato a risolvere la difficoltà applicando – per fortuna con successo – una metodica impiegata normalmente per la rianimazione dei pazienti: la circolazione extracorporea “Ecmo” (Extra-Corporeal Membrane Oxygenation), la cosiddetta macchina cuore-polmoni, nota alla cronache dopo la pandemia di influenza A/H1N1 del 2009. Il fegato espiantato, dunque, prima di essere trapiantato nel ricevente, è stato “rigenerato” per un tempo congruo (circa 4 ore) nella macchina Ecmo, grazie alla quale è stata mantenuta la temperatura corporea del donatore ed è stata garantita l’ossigenazione dell’organo, ritardando il danno da ischemia. “Questa parte – spiega Luciano De Carlis, direttore dell’équipe di chirurgia generale e dei trapianti del Niguarda – è durata 4 ore, durante le quali abbiamo verificato che non ci fossero problemi ed eseguito una serie di analisi, come la biopsia del fegato”. Solo dopo questo processo, è stato possibile trapiantare l’organo nel ricevente.
“Questo intervento è la migliore dimostrazione – afferma Alessandro Nanni costa, direttore del Centro nazionale trapianti – che nel nostro Paese, pur rispettando pienamente la normativa in atto, notoriamente tra le più ‘garantiste’ al mondo per la regolazione dei trapianti, è comunque possibile ampliare la gamma di possibilità per avere più organi disponibili per i tanti pazienti ancora in lista d’attesa”.
Ma quali potrebbero essere i vantaggi reali di questa metodologia trapiantologica? “Questo intervento potrebbe aprire una strada importante per i trapianti di fegato – commenta De Carlis -, aumentando del 10% il numero di organi utilizzabili”. Una stima prudenziale, riferita al solo periodo iniziale di applicazione della procedura. Ma in futuro questa potrebbe aumentare. “Negli Stati Uniti – aggiunge il chirurgo del Niguarda – dove bastano 5 minuti per dichiarare il decesso dopo che il cuore ha smesso di battere, si parla di un +20-25% di organi disponibili”. Tuttavia, essendo l’accertamento della morte una questione molto delicata ed eticamente sensibile, la maggiore “garanzia” assicurata dalla legge italiana è sicuramente un buon incentivo alla donazione di organi. “In Italia il numero dei donatori di fegato è in linea con il resto d’Europa – afferma De Carlis -. Nel nostro Paese, il problema è piuttosto che i pazienti che hanno bisogno di trapianto sono quasi il doppio rispetto agli organi disponibili”. Attualmente, infatti, il tempo di attesa medio dei pazienti è di circa un anno, escludendo i casi di imminente pericolo di vita, i quali ovviamente hanno la precedenza assoluta.

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