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Il colore prima del blu – puntata 37


Il romanzo “Il colore prima del blu”
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‹‹Sullo sfondo di ogni vita c’è sofferenza, caro Michele,›› mi dice don Piero.
Siamo in chiesa. Sono venuto a trovarlo.
‹‹Nei film che abbiamo visto nessuno è diventato un eroe senza fare sacrifici,›› continua a dirmi. Osservo il crocefisso e i miei pensieri si smarriscono: io che non credo in un Dio buono, stavolta provo commozione, come se le mie sofferenze fossero appese lì da secoli e io non me ne fossi mai accorto.
‹‹Qui da noi soffrono tutti. Quindi Gesù è morto per questo paese,›› dico.
‹‹Sì, anche per questo paese.››
‹‹E tu, don Piero, perché sei venuto in un posto dove l’unica salvezza è andarsene? Cosa speri di cambiare?›› chiedo.
«Magari potremmo diventare tutti migliori di quello che siamo. È una pazzia pensarlo? In fondo, cambiare è sempre possibile. Se smettiamo di sperare anche in un piccolo cambiamento, non ha senso più nulla.»
Trascorrono alcuni secondi, mi passano davanti le mie sofferenze. Stringo i pugni e, con gli occhi sempre fissi al crocefisso, dico: ‹‹Noi possiamo diventare migliori, ma Dio ci poteva rendere la vita più facile. Tu adori un Dio a cui piace vederci soffrire; un Dio che permette la morte di suo Figlio! Che Dio è un Dio che permette il male!?››
‹‹Non so perché c’è il male, ma so che l’unico strumento che abbiamo per difenderci dal male è l’amore.›› La voce rimbalza contro il vuoto della chiesa e torna indietro soffocata. Poi aggiunge:
«Credo ancora nell’aiuto di Dio,» ma questa volta le sue parole sono così deboli che si perdono incerte tra i vecchi banchi della navata, come quando ci si confessa un peccato indicibile.
Credo di essermi arreso, ormai:
‹‹Voglio lasciarmi sbattere dalle onde della vita contro gli scogli, come un marinaio che lascia andare alla deriva la sua barca, finché un’onda più grande la inghiotte.››

Don Piero sembra assorto nei suoi pensieri, ma poi mi mette una mano sulla spalla e, come se parlasse anche a se stesso, mi dice:
‹‹Ti capisco Michele, ma non ci si può arrendere così. Sai cosa mi ha detto qualche giorno fa Nico? Mi ha detto che un buon marinaio non si riconosce quando è tempo bello, ma si riconosce dentro alla tempesta. Un marinaio coraggioso non abbandona mai la sua barca, anche quando sta per affondare. Così mi ha detto! Ci vuole coraggio per essere un marinaio, Michele.›› Fa una pausa, poi continua: ‹‹E ci vuole coraggio anche per realizzare i sogni.››
Cerco di parlargli ma lui continua: ‹‹E se non hai trovato ancora nessuno che ti dica che il tuo è un sogno impossibile allora non è un sogno.››
Gli tiro via la mano dalla mia spalla e finalmente riesco ad aprire bocca.
‹‹Non ho più un sogno, don Piero. Da quando ho litigato con Anna non ho più un sogno,›› dico secco, alzandomi in piedi e cercando di nascondere le mie ferite.
‹‹Michele! Tu ce l’avevi un sogno! Devi solo dimostrare che hai coraggio! Tuo padre ne aveva, come un marinaio…››
‹‹Mio padre è stato un egoista! Ha rovinato le nostre vite.››
‹‹Tu devi essere fiero di lui. È lui il vero eroe che devi imitare: aveva un sogno e ha vissuto per quel sogno!››
‹‹E ci si è morto pe’ quel sogno, don Pieé!››
‹‹Tu non sai cosa è accaduto là su quell’isola. Non puoi giudicarlo. Devi rendergli onore. Devi dimostrare che sei il figlio di un grande uomo! Hai un sogno? Fai il primo gradino e inizia a salire le scale, perché i sogni stanno in alto.››
Questa volta don Piero non è dolce: si è alzato in piedi anche lui e quello che doveva dire me lo ha detto a un palmo dal naso.

Ho deciso di venire a dormire nella mia vecchia casa. Sulla scrivania dello studio ci sono due tazzine di caffè sporche: souvenir della notte trascorsa qui con Anna. Rovisto nel cassetto e trovo una vecchia foto incorniciata: eravamo in casa, sul divano. Io facevo la lingua a papà mentre lui dava un bacio alla mamma. Lo ricordo quel giorno, pioveva ed era andata via la luce. Infatti ci sono delle candele vicino a noi. La foto è un po’ buia e la mamma risulta sfuocata. Alcune lacrime mi solcano il viso e mi appannano la vista. Appoggio la foto sulla scrivania ma resta in bilico sul bordo. Mi cade a terra e si rompe. Raccolgo la foto e scopro che dietro c’è una scritta. Mi stropiccio gli occhi per vedere meglio. È la calligrafia di mio padre e dice: “Lo scatto più eroico della mia vita.” Avvicino la foto al petto, mi affaccio alla finestra alla ricerca di una stella da baciare. Attendo l’alba che scopre il panorama della mia vita. Oggi l’orizzonte è limpido e l’Isola spezza la monotonia del cielo schiacciato sul mare. È un richiamo. Il mio destino inizia dove è finito quello di mio padre.

Leggo il giornale locale. È tutto pronto per far brillare la bomba. Domani i vicoli del paese, la piazza, il molo e il Pino bar saranno deserti. Emma la fornaia, Sergio il barcaiolo, Claudio il guardiano, don Piero, il signor Alfredo, Marta, l’assistente sociale, Anna e i suoi genitori, le pescivendole e tutti gli abitanti del paese saranno in collina a fare festa. Tutti tranne me, penso! Domani ricorre la notte delle sirene, domani è un anno che mio padre se ne è andato, domani è l’ultimo giorno di vacanza di Anna. Domani cambierà tutto. La bomba è un passato che non se ne vuole andare e finché non la si farà brillare, minerà la quiete del nostro paese. Ci vuole coraggio per disinnescarla. Ci vuole coraggio per far brillare il proprio passato, ma solo così si potranno levare gli occhi da terra senza la paura di pestare un residuo bellico e alzarli al cielo immaginando un futuro nuovo. Domani farò brillare la mia vita e tornerò a sognare.

Categories: romanzo a puntate
Alessandro Ribeca: