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Violenza e sesso non fanno vendere di più

Di Rino Farda

La violenza e il sesso non aiutano a vendere più prodotti. Una ricerca condotta dalla American Psychological Association ha dimostrato che messaggi commerciali televisivi o cartelloni stradali funzionano meglio se i loro contenuti possono contare sul “G-rating” (negli Stati Uniti, un G-rating significa che il contenuto è approvato per un “pubblico generale”, minori inclusi). “Non abbiamo trovato alcuna prova che i programmi e gli annunci violenti o a sfondo sessuale possono aumentare l’efficacia della pubblicità”, ha detto Brad J. Bushman, PhD, professore di comunicazione e psicologia presso la Ohio State University, e co-autore dello studio che è apparso alla fine di luglio sulla rivista ufficiale “Psychological Bulletin”. “Più in generale, abbiamo riscontrato l’esatto contrario: i programmi violenti o a sfondo sessuale, e la comunicazione commerciale con contenuti violenti o di tipo sessuale indeboliscono l’efficacia della pubblicità”.
Bushman e l’autore principale, il professor Robert B. Lull, hanno condotto, fino al 2014, una meta-analisi su 53 casi di studio diversi con 8.489 partecipanti. L’obiettivo era quello di determinare le influenze di contenuti violenti e sessuali sull’efficacia della pubblicità, come misurato da alcuni indicatori che gli esperti della pubblicità chiamano “memoria di marca” (la propensione a ricordare e a preferire quella determinata marca), gli “atteggiamenti di marca” (la propensione a introiettare i cosiddetti valori della marca) e le intenzioni di acquisto. I marchi pubblicizzati durante le interruzioni pubblicitarie nei “media” più violenti (action o horror movie, spettacoli di wrestling, eccetera) sono stati ricordati meno spesso, valutati in modo meno favorevole, e hanno fatto registrare meno probabilità di essere acquistati rispetto alle marche pubblicizzate sui “media” non violenti. Il contenuto sessuale dei programmi, invece, ha meno influenza, sia da un punto di vista positivo che negativo. La ricerca sembra aver accertato quindi che inserire la pubblicità in programmi con contenuti di tipo sessuale è sostanzialmente inutile: la loro efficacia è simile a quella degli spot inseriti in programmi “G-rating”.
I ricercatori hanno notato inoltre che contenuti violenti o allusivi inseriti direttamente nei messaggi pubblicitari non ne migliorano l’efficacia. In alcuni casi di studio, però, quando il contenuto dei media e i contenuti della pubblicità sono congruenti (ad esempio, un annuncio violento nei media violenti o un annuncio sessuale nei media sessuali), gli spettatori sono più propensi a ricordare gli annunci e ad avere una forte volontà di acquistare il prodotto. Ma se il contenuto sessuale di un annuncio aumenta (ad esempio, con pose suggestive o con immagini di piena nudità frontale) la “memoria di marca”, gli “atteggiamenti di marca” e le intenzioni di acquisto diminuiscono in modo proporzionale.
“Non è che le persone non siano attratte da sesso e violenza”, ha detto Lull. “Al contrario, le persone sono state attratte da sesso e violenza fin dall’inizio dell’evoluzione. Tuttavia, la violenza e il sesso attirano l’attenzione a spese del contenuto contiguo che non è né violento né sessuale”, afferma Lull. “La gente – spiega – presta più attenzione alla violenza e al sesso e tende a distrarsi rispetto ai prodotti pubblicizzati. La memoria, gli atteggiamenti e le intenzioni di acquisto diminuiscono di conseguenza”.
Il risultato della ricerca della American Psychological Association è un vero shock per il mondo della pubblicità. “I nostri risultati hanno un significato enorme, soprattutto se vengono condivisi con coloro che pagano per la pubblicità”, ha detto Bushman. “Il sesso e la violenza non vendono, e anzi possono anche ritorcersi contro alterando memoria, atteggiamenti e le intenzioni di acquisto per i prodotti pubblicizzati. Gli inserzionisti dovrebbero pensarci due volte prima di sponsorizzare programmi violenti e sessuali, e dovrebbero riflettere meglio prima di approvare temi violenti e sessuali nei loro annunci”.

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