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Roma è malata? “Alzare la voce contro i soprusi e guardare in alto”

Giovanna Pasqualin Traversa
Roma è “orfana” di leadership e i suoi cittadini “mancano di senso civico e di comunità”, tuttavia i suoi “mali” non sono nati oggi. Non si scompone Anselma Dell’Olio, opinionista e critico cinematografico, nata negli Usa da papà di origini pugliesi e mamma ebrea americana, romana d’adozione che ai suoi concittadini chiede un nuovo “protagonismo” e la “capacità di alzare la voce”, ma ricorda anche l’importanza di “guardare in alto”. L’abbiamo incontrata nella sua bella casa al sesto piano di un palazzo sul Lungotevere. “Ogni mattina – ci confida -, quando mi affaccio sul balcone sento il respiro del fiume”. “Avevo otto anni quando i miei genitori mi hanno portato per la prima volta a Roma con i miei fratelli. Al liceo ho preso la decisione di restare”.
I mali di Roma – corruzione, malaffare, degrado, incuria, solitudini – sono sotto gli occhi del mondo…
“Fenomeni purtroppo all’ordine del giorno in tutte le grandi città. Un certo tasso di corruzione in politica è malauguratamente un fatto endemico – aggravato oggi a Roma dall’inefficienza dell’amministrazione capitolina e dalla mancanza di una vera leadership – ma non nuovo. Le collusioni tra politica e criminalità risalgono infatti alle origini dell’Italia unita. Tornando a Roma, parlare di ‘Mafia Capitale’ per un affare di ordinaria piccola delinquenza municipale è secondo me una montatura indegna. Ci sono certamente state irregolarità nella gestione dei soldi per gli immigrati, ma si tratta di un modesto episodio di corruzione di personale municipale. Chiamarlo ‘Mafia Capitale’ è un insulto alle vittime delle vere mafie”.
Però gli indagati si sono arricchiti sulla pelle dei più poveri, dei disperati…
“È una vicenda orribile, ma dov’era chi avrebbe dovuto vigilare? L’opinione pubblica si indigna perché la definizione ‘Mafia Capitale’ fa colpo, ma c’è altrettanto sdegno per le decine di migranti che continuano a morire nei camion o nelle stive delle navi? Per me, il vero schifo è la ‘congiunzione’ tra certa magistratura e certa stampa, e questo inutile sputtanamento davanti al mondo che Roma non meritava”.
I romani hanno la consapevolezza di essere cittadini della capitale d’Italia?
“Credo di sì. Il romano ama profondamente la sua città ma è purtroppo colpito dalla malattia che affligge tutti gli italiani salvo rare eccezioni: la mancanza di senso civico. La regola di vita è preoccuparsi per il proprio orticello e non guardare oltre; scarseggia quel senso di comunità che hanno invece francesi, inglesi e tedeschi. Inoltre, dopo 1500 anni di dominazione straniera, gli italiani non si fidano del ‘potere’ e lo blandiscono tentando di fregarlo in tutti i modi. Del resto l’Italia è uno Stato ancora giovane. I romani, poi, sono rassegnati, passivi. Perché non alzano la voce di fronte a soprusi come, ad esempio, l’essere costretti a fare una lunga fila all’unico sportello bancario aperto perché gli altri impiegati sono al bar? Io sono la sola a farlo”.
Quando lei parla della necessità di una leadership per Roma che cosa intende?
“Leadership è il carisma di coinvolgere e responsabilizzare i cittadini, è quella del neopresidente John Fitzgerald Kennedy che appena eletto disse agli americani: ‘Non chiedetevi quello che il vostro Paese può fare per voi, ma quello che voi potete fare per il vostro Paese’. Non servono grandi ‘vision’, o ‘vastes programmes’ come diceva Charles De Gaulle; occorre darsi da fare sul concreto e nel quotidiano, invitare gli abitanti a non sporcare la propria città, a rispettarla, ad averne cura. Il tessuto comunitario si costruisce responsabilizzando con pragmatismo e intelligenza il cittadino a ‘fare’ e aiutando i romani a diventare ‘protagonisti’ del proprio futuro, anche segnalando soprusi, disservizi e storture alla stampa locale, denunciandoli alla polizia e pretendendo il rispetto dei propri diritti e di quelli dei più deboli. ‘If you see something, say something’, è scritto in America negli autobus e nelle metro”.
Quanto ama Roma? Se ne andrebbe?
“Me ne sono andata tre volte, anche per lunghi periodi, ma è l’unica città al mondo per la quale ho provato nostalgia. Mi sento a casa, indipendentemente da Giuliano (il marito Giuliano Ferrara, ndr). E lui, ‘romano de Roma’, riconosce che sono io ad avergliela fatta riscoprire”.
Che cosa le dà in particolare questa città?
“L’amore per la vita e l’amore per l’assoluto. È la città dell’assoluto, la città di san Pietro impregnata di storia e spiritualità. Al momento dell’elezione dei due ultimi papi, Benedetto XVI e Francesco, mi trovavo a Villa Doria – Pamphili e ho visto la gente iniziare improvvisamente a correre per raggiungere piazza san Pietro. Non è meraviglioso? In questa città è forte come in nessun’altra il richiamo dell’assoluto e della provvidenza, e tutti, quando è il momento, lo sentono. Vivere a Roma ti fa sentire nella storia. Se alzi gli occhi, scorgi ovunque una cosa stupenda. Da questa finestra, tutte le sere prima di andare a dormire vedo la cupola di san Pietro. Sono cose che elevano lo spirito, ti chiedono di guardare in alto, e non sempre solo in basso a tutto ciò che non funziona, e ti dicono: ‘fa’ qualcosa, ma ricordati che c’è dell’altro; la vita è quella’, ed è questo che ti incoraggia e ti dà poi l’ispirazione ad agire nelle cose concrete. Senza questo io non vivo”.
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