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Don Luciano Paci: Unitalsi “La comunità diocesana va sensibilizzata riguardo il significato di quest’opera”

DIOCESI – Abbiamo intervistato Don Luciano Paci che ci ha raccontato del suo legame profondo con l’Unitalsi.

Don Luciano quando è nata la tua storia con gli amici dell’Unitalsi?
Tutta la mia vita di prete ha avuto un interesse per l’Unitalsi.
Appena ordinato sacerdote, sono stato nella parrocchia di San Pio V, nel 1956, dove c’era l’assistente dell’Unitalsi don Mario Cocci Grifoni, il quale partecipava sempre ai pellegrinaggi e aderiva ai momenti importanti dell’associazione, da questo legame che don Mario aveva con l’Unitalsi sono stato “contagiato” e ho incominciato a seguire l’Unitalsi anch’io.
Tutti gli anni andavo a Loreto e quando mi è stato possibile sono andato a Lourdes, andavo quasi ogni anno, poi ho smesso per un periodo e ho ripreso in questi ultimi anni.

Perché è importante Lourdes?
Perché è un centro di spiritualità dove si dà importanza agli ultimi a quelli che il Papa chiama lo scarto della società, e perché in Lourdes si vive quell’esperienza di fede, di umiltà e di semplicità, caratteristiche per le quali la Madonna ha scelto proprio quel posto lì.
La famiglia di Bernadette, infatti, viveva nell’umiltà e nella fede e con umiltà e fede ha affrontato tutte le sofferenze e le ingiustizie che ha dovuto subire: molte famiglie che abitavano lì sentivano questa famiglia pregare e cantare e si meravigliavano del loro vivere nella pace e nella serenità nonostante tutto. Questo dà un po’ il senso di Lourdes.

Raccontaci dell’ultimo campo che si è tenuto a Ferrà
Sono stato a Ferrà per sei giorni. È sempre un’esperienza molto bella, perché ti mette a contatto con le persone disagiate; sei vicino alla sofferenza ma vedi che questa gente è molto serena e sa accettare la propria situazione con semplicità fede e disponibilità. Gli appartenenti all’Unitalsi, tra i quali anche giovani, attraverso questa esperienza imparano ad avere un atteggiamento di condivisione e di solidarietà. Mi hanno meravigliato questi giovani che aiutavano, imboccavano e pulivano queste persone, ciò che loro facevano in qualche modo era ed è sacramento di Gesù e cioè la manifestazione di Cristo all’ammalato, per cui anche l’ammalato, guardando queste persone, capisce l’amore e lo spirito di vita cristiano.

Cosa pensi che possa mancare all’Unitalsi?
Quello che, penso, manca è la partecipazione della comunità diocesana che è un po’ assente da queste cose, forse neanche sa, eppure il servizio dell’Unitalsi è un polmone che da vita, perché l’ultimo è quello che vale per Cristo e per il vangelo

Come si svolge una giornata tipo del campo?
La giornata tipo inizia verso le 7:30 con la sveglia. Il personale aiuta queste persone con difficoltà ad alzarsi pulirsi e prepararsi e lo fanno con spirito di amore. Dopo la colazione si rimane sotto gli alberi a prendere un po’ di fresco. Poi, verso le 10 o le 11 circa, quando i ragazzi hanno finito di pulire, diciamo l’ora media o le lodi in base all’orario. Durante la giornata si parla, c’è il dialogo l’ascolto e poi ci sono delle belle attività come, ad esempio, il disegno o fare maschere e organizzare momenti di festa come la sfilata delle maschere o il ballo in maschera. Non manca l’Eucaristia che viene celebrato nel pomeriggio verso le 18 si celebra l’eucaristia. Spesso partecipano anche i ragazzi dei campiscuola in zona.

Chiudiamo con un messaggio alla comunità diocesana
La comunità diocesana va sensibilizzata riguardo il significato di quest’opera. Sensibilizzare non è un semplice invito, è capire chi sono le persone in difficoltà è capire che oltre la catechesi e la liturgia c’è la carità: la carità che manca è un treppiede che non si tiene.

Janet Chiappini: