Roma – Ci sono notizie che sembrano abbiamo dello straordinario e invece forse non sarebbero che l’ordinario dell’espressione del senso civico e di umanità. Così succede che ci meravigliamo e siamo grati quando qualcuno esprime, attraverso un gesto, il rispetto per le cose, per le persone.

Può succedere allora che su un autobus di linea a Roma, dopo una serie di peripezie: l’aereo rimandato per un allarme, il traffico, l’ansia di raggiungere l’albergo dove si è alloggiati mentre ormai è sera tardi; può succedere dunque, di dimenticare il portatile sul sedile del bus di linea. Pc prezioso, non solo per il valore in sé, ma anche per l’infinità di documenti e materiali che contiene. Se poi sei un’insegnante, che per giunta ti trovi a Roma per un corso intensivo di formazione estivo, allora hai dimenticato sul sedile dell’autobus molto ma molto di più di un oggetto tecnologico…

Con la rassegnazione della serie “con chi te la vuoi pigliare, ormai è fatta!” almeno decidi di fare la denuncia, del resto ci sono anche dati sensibili nel computer. Solo che l’impresa si rivela più ardua del previsto perché ti scontri con l’indifferenza, la superficialità e i rimpalli continui di coloro a cui viene presentata la denuncia di smarrimento, situazione spiacevole che provoca anche una certa indignazione. Fare la denuncia non è pretendere di riavere ciò che si è malauguratamente smarrito, è l’esercizio del proprio diritto, così come dovrebbe essere compito di chi lavora esprimere professionalità e responsabilità nell’accogliere una semplice denuncia.

E poi accade l’inaspettato, ciò che non avevi previsto, una telefonata, qualcuno che si accerta della tua identità e… “ma lei ha perso un computer? Lo abbiamo noi.” È Stefano, un giovane con la maglietta dell’Atac (l’azienda di trasporti pubblici di Roma), che arriva riportando il portatile. Un autista, che forse a fine corsa, presa la borsa portapc dimenticata nel pulmann, ha cercato di capire di chi fosse e si è prodigato per farlo riavere alla sua proprietaria. Chissà forse una borsa portapc, non grande, abbandonata su un sedile di bus, avrà avuto più un’aria sospetta che attrattiva.

Certo c’è la contentezza di riavere il proprio computer ma forse anche di sapere che ci sono ancora, “essere umani che hanno coraggio di essere umani” e ci crediamo, per dirla con Mengoni. Ci crediamo, sì, che là, dove le cronache ci riportano una umanità fraudolenta e abbruttita dalla chiusura della non accoglienza, c’è ancora chi compie gesti di cittadinanza buona, di buona reciprocità, di fiducia. Crediamo che la maestra Lilia lo racconterà ai suoi alunni, occasione per educar-ci a essere “Cittadini nella Chiesa, Cristiani nel Mondo”, così come scritto nell’ultima pagina del libretto del corso di aggiornamento (corso estivo per insegnanti di religione Università Pontificia Salesiana “Sfide Educative dell’IRC”). WP_20150708_001[1]Eh si perché come scrive il professor Moral, direttore del corso, “occorre trovare un nuovo perno educativo che, in questo preciso momento storico, sembra trovarsi nella nozione di cittadinanza… essere un buon cittadino e cittadina esprime fedelmente ciò che ci fa umani, a patto che la “nozione di cittadinanza” si costruisca sulla base della dignità umana universale e sui diritti umani”. Una sfida educativa perché un buon cittadino sia la notizia e non faccia notizia. 

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