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La presa in carico degli italiani malati di autismo

Giovanna Pasqualin Traversa

Forse si sta aprendo uno spiraglio per chi si trova ad affrontare ogni giorno un cammino in salita e una sfida complessa come quella di un figlio o di un familiare affetto da autismo, disturbo del comportamento che esordisce entro il terzo anno e di età e permane tutta la vita. Con 296 sì e 6 no, il 7 luglio l’Aula della Camera ha approvato la proposta di legge “Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie”. Il provvedimento – il primo in materia – già approvato dal Senato, è stato parzialmente modificato dal passaggio in Commissione Affari sociali di Montecitorio. Per questo dovrà tornare a palazzo Madama per il via libera definitivo. Un testo snello – sei articoli, a saldi invariati – che, di fatto, recepisce la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite del 12 dicembre 2012 e prevede, in sintesi, linee di indirizzo aggiornate ogni tre anni, più ricerca in materia, inserimento dell’autismo nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Tutti interventi finalizzati a garantire la tutela della salute, il miglioramento delle condizioni di vita e l’inserimento nella vita sociale di questi malati che in Italia, anche se non esistono statistiche precise, si aggirano intorno ai 600-700mila.

Le novità. Tra le principali novità del disegno di legge, l’aggiornamento dei Lea attraverso l’inserimento delle prestazioni della diagnosi precoce della cura e del trattamento individualizzato. Anche se per i disturbi dello spettro autistico non esistono purtroppo cure risolutive, sono disponibili trattamenti che possono aiutare a migliorare le condizioni di vita dei malati, ma risulta strategica la tempestività della diagnosi. Ecco perché è fondamentale che questa sia precoce, entro il secondo – terzo anno di età, per consentire una tempestiva presa in carico dei piccoli pazienti. Ancora troppi, invece, i ritardi nell’identificazione di questa disabilità causati, secondo gli esperti, dalla mancanza di coordinamento tra pediatri di base, personale degli asili nido e unità di neuropsichiatria infantile. La proposta di legge prevede inoltre l’impegno di aggiornare le Linee guida dell’Istituto superiore di sanità sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico “in tutte le età della vita” in base all’evoluzione delle conoscenze scientifiche e delle buone pratiche nazionali e internazionali. Centrale il ruolo delle Regioni che, garantendo il servizio di assistenza sanitaria, dovranno individuare centri di coordinamento e stabilire percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali per la presa in carico di minori e adulti autistici, verificandone l’evoluzione, e prevedendo, tra l’altro, progetti di formazione degli operatori sanitari, inserimento lavorativo dei soggetti adulti e sostegno per le famiglie. Prevista la “clausola di invarianza finanziaria”, ossia il rispetto nell’attuazione della legge degli equilibri programmati di finanza pubblica. Insomma, nessuna risorsa aggiuntiva.

Tra luci ed ombre. Di “proposta brillante” parla don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. “È molto positivo – osserva – che su questo tema si manifesti un’attenzione specifica che va oltre la sporadicità e la frammentarietà degli interventi e si inserisce all’interno di criteri di riferimento nazionali”. Giudizi positivi anche sull’aggiornamento dei Lea “in tutte le fasi di età”, sull’ “andare incontro alle esigenze della famiglia, perché dietro ogni soggetto con questo disturbo c’è una famiglia che si dona, soffre, e va sostenuta e accompagnata”, e sui “progetti finalizzati all’inserimento nel mondo lavorativo”. Quali gli aspetti problematici? Anzitutto “sarà importante valutare le linee guida e i decreti attuativi”, ma la maggiore preoccupazione del responsabile dell’Ufficio Cei riguarda il “federalismo sanitario”. “Si corre il rischio – avverte – di assistere anche in questo caso a venti diverse applicazioni della norma con enormi differenze tra nord e sud, dove risorse e competenze disuguali potrebbero produrre una non omogenea presa in carico”. Don Arice non si nasconde che si tratta di materia legislativa di competenza regionale, tuttavia, sostiene, “occorrerebbe creare delle norme stringenti rispetto all’applicazione delle linee guida”. Ulteriore anello debole, “l’assenza di un finanziamento specifico. Siamo in tempi di spending review anche in sanità; il rischio è quello di un progetto ottimo, ma impossibile ad attuarsi. Da dove verranno distolte le risorse da investire in questo ambito?”. Più in generale, conclude il direttore dell’Ufficio Cei, “l’attenzione legislativa dovrebbe oltrepassare i ‘confini’ del ministero della Salute e chiamare in causa una competenza trasversale, una sinergia tra dicasteri della Salute, dell’Istruzione, dell’Economia e del Lavoro. Solo così la questione potrà essere affrontata in modo adeguato”.

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