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Zittire la claque dei camorristi

Ci risiamo. Un triste “déjà vu” che scoraggia le speranze di riscatto morale e sociale dei quartieri napoletani più degradati, “asfissiati” dalla stretta mortale della camorra. Questa volta è toccato al quartiere Barra, nella periferia est di Napoli, mettere in scena uno dei consueti cliché della tradizione camorristica: il tentativo popolare di ostacolare l’arresto del boss di turno da parte delle forze dell’ordine. Un “pezzo da novanta”: Luigi Cuccaro, 42 anni, accusato di omicidio, traffico di droga, associazione camorristica, latitante da ormai due anni. I carabinieri lo hanno arrestato nella notte, mentre “festeggiava” il suo onomastico in casa di un parente. E subito, per ben due volte (all’uscita dal luogo dell’arresto e, dopo qualche ora, all’uscita dalla Caserma di Casal di principe), la solita triste scena vista ripetutamente in occasioni simili: donne, bambini e giovani minorenni, tutti in strada a urlare e fare pressione (al limite dello scontro fisico) sulle forze dell’ordine per impedire l’esecuzione dell’arresto. Una sorta di “claque”, solo apparentemente spontanea, ma in realtà ben organizzata, che più che costituire un vero ostacolo per l’azione della polizia ha la funzione di attestare pubblicamente la devota e supina “devozione” al boss e al suo clan.
L’immagine restituita è amara e sconvolgente (ma anche patetica): un manipolo di povera gente che, strumentalizzata e impaurita, si erge a paladino della peggiore delinquenza. Con un decadenza morale così marcata, da arrivare a “usare” spudoratamente anche bambini e adolescenti come scudi umani, a difesa di chi delinque ferocemente, anche sulla loro pelle! Questa gente, di fatto, dice con i gesti: non vogliamo lo Stato e le sue regole di convivenza civile, preferiamo i boss e le loro logiche mortali! Insomma, l’anti-stato “a furor di popolo”. Anche se questo, alla fine, gli si ritorce contro.
In questi scenari (ma non solo in questi, purtroppo) è evidente il fallimento della costruzione di un tessuto sociale e civico che abbia riferimenti etici comuni, che sappia ancora distinguere con chiarezza il bene dal male, scegliendo senza tentennamenti il primo e rifiutando con decisione il secondo. Un fallimento le cui responsabilità gravano su tutte le agenzie educative in gioco, compresi Stato e Chiesa (sul territorio).
Ma non possiamo certo cedere rassegnati a questa logica. Occorre ricominciare, con pazienza e fiducia, proprio dalle nuove generazioni che, se opportunamente educate e sostenute, potranno costruire un futuro diverso, una società più giusta che sappia schierarsi dalla parte del bene, sempre e comunque.

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