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Migrati a Roma Tiburtina: né una tendopoli, né un campo profughi.

di Daniele Rocchi

I treni sfrecciano veloci sulle rotaie poco distanti, ma possono solo sentirli. Il muro di contenimento dei binari ne ostruisce la visuale. Ma non impedisce loro di sognare di partire il prima possibile. In lontananza l’eco degli annunci delle varie destinazioni, Torino, Milano, Firenze, rinfocola il desiderio di una vita migliore, lontano da guerre, instabilità e crisi. Entrano e escono alla spicciolata i circa 150 “ospiti” del campo di accoglienza della Croce Rossa Italiana (Cri) allestito dietro la moderna stazione Tiburtina di Roma, circa 50mila metri quadrati che riconnettono i quartieri di Pietralata e Nomentano, storicamente separati dalla ferrovia. Qui da sabato scorso sono accolti circa 150 migranti, in prevalenza eritrei, definiti “transitanti” per via della loro volontà di raggiungere i Paesi del Nord Europa, Svezia, Germania e Olanda su tutti. Il campo della Cri ha avuto subito l’effetto di decongestionare il vicino centro di accoglienza di via Cupa, il “Baobab”, facendo rientrare in parte l’emergenza. Nessuno ha intenzione di restare qui, dicono a bassa voce in un inglese stentato, anche se sono grati all’Italia per l’accoglienza che stanno ricevendo. Preferiscono non rivelare il loro nome, a mala pena dicono il Paese di origine. Non intendono farsi identificare, attraverso le impronte digitali, per il timore di restare bloccati in Italia.
Parlano i volontari. “Non è una tendopoli e nemmeno un campo profughi” si affrettano a dire alcuni dei volontari della Croce Rossa che si alternano, da un minimo di 15 ad un massimo di 40 ogni giorno, alla gestione del “campo di accoglienza di prima emergenza” come preferiscono chiamarlo. Undici tende alloggio, con brande e coperte, una tenda sanitaria, bagni chimici, un camper sanitario, oltre all’ambulatorio mobile della Asl Rm B, una tenda mensa e di ritrovo, magazzini di stoccaggio per cibo, vestiti e materiale igienico. “Per ora i pasti vengono serviti dall’esterno, preparati in cucine certificate, ma a breve dovrebbe essere allestita anche una cucina da campo” spiega Claudia Arpaia, volontaria Cri. La vita nel campo scorre tranquilla. “Quando arrivano ci chiedono di poter mangiare e fare una doccia. Qualche vestito pulito. Gli ospiti sono in gran parte giovani, passano il tempo giocando a pallavolo, conversando nelle tende, molti sono quelli che si allontanano dal campo e c’è anche chi non fa ritorno, tentando il viaggio della speranza su un treno, come ha fatto “una famiglia, padre, madre e bimbo piccolo, in direzione Bolzano. Muniti solo di biglietto e sprovvisti di tutto, anche di bagaglio, ricchi solo di un passeggino che hanno avuto quando sono arrivati qui”, ricorda Claudia. Oggi nella piazza del campo, di brecciolino bianco, giocano anche gli unici due bambini rimasti, sotto lo sguardo attento delle madri. Per loro e per quelli che verranno, dice un altro volontario della Cri, Daniele Aloisi, l’associazione “Save the children sta allestendo una ludo-tenda e progetti di animazione”. E si pensa anche ad un piccolo luogo di culto. “Da quel che possiamo capire dai nostri ospiti – racconta Claudia – la maggioranza è di fede cristiana, sono copti, anche se non li abbiamo mai visti pregare. Non mostrano avere particolari restrizioni religiose per il cibo. Quello che gli forniamo è vicino ai loro gusti, come cous cous, legumi e riso, ma non disdegnano la pasta” aggiunge con un sorriso la volontaria. “Avere attenzione anche ai loro gusti rientra anche nel nostro modo di fare accoglienza”. Il momento più vivace nella giornata del campo è quello del mercato o per meglio dire della “boutique”. Quando, cioè, si apre la tenda del vestiario e in quell’istante gli ospiti cercano abiti, scarpe, accessori per potersi vestire. “Un vero e proprio mercatino” alimentato dalla generosità di tante persone della zona.
A varcare la soglia del campo alla Stazione Tiburtina non sono solo i migranti in difficoltà ma anche molta gente residente nei palazzi circostanti che arriva con buste piene di viveri, di abiti, di prodotti per l’igiene e la pulizia. Una gara di solidarietà silenziosa che vede coinvolti anche associazioni e parrocchie. “È il volto migliore di Roma” dice convinta una signora di mezza età in attesa di consegnare ai volontari le proprie scatole piene di abiti “mai messi”. E verrebbe da dire anche la risposta migliore a Mafia Capitale. Il prefetto Franco Gabrielli ha parlato di “tendopoli temporanea, in attesa che venga ristrutturato l’edificio di via Masaniello” ma questo non impedisce di pensare ad un’implementazione del campo. “Non tanto in termini numerici – spiega Daniele – quanto in termini di risposta ai bisogni. Appena arrivati ci chiedono un letto, vestiti, docce e un piatto da mangiare. Ora hanno bisogno anche di altro, fosse solo una forbicetta per le unghie o una postazione internet da cui collegarsi per rintracciare amici e familiari”. In attesa di salire su un treno per il Nord Europa verso una vita migliore. Il loro bisogno più grande.
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Simone Caffarini: