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San Benedetto Martire: Un pizzico di gloria

Mentre ci apprestavamo ad ultimare i preparativi per le fasi finali del torneo di San Benedetto Martire, ci siamo imbattuti in una lettera che uno dei partecipanti scrisse in una precedente edizione riguardo alla sua esperienza con noi. Al tempo, fu pubblicata sul bollettino della parrocchia, e riscosse anche una certa ammirazione. Rileggendola, siamo stati conquistati dal desiderio di condividere queste parole con più lettori, perché le abbiamo sentite vere e appassionate, ma anche molto vicine al meraviglioso spirito con cui i partecipanti di ogni anno sanno vivere il torneo.

“Un pizzico di gloria” di Alessandro Perfetti

Sono molte le storie che meritano di essere raccontate. Storie di un’umanità vivace, di ragazzi che nel gioco esprimono la loro festosità di un percorso comunitario iniziato da anni, ma sempre nuovo, sempre pieno di spinta. Capace di trovare stimoli tra la polvere e l’esiziale aroma di solventi e vernici, nel riuso di vecchi arnesi, in una sfida continua al proprio ingegno. A tutto questo è stato dato un senso, un’attribuzione di significati sedimentata nel tempo, ormai quasi scontata e di conseguenza difficilmente comunicabile all’esterno. Di ciò comunque, non scrivo; non ho preso, se non minimamente, parte a questi processi, e nel caso non si sa bene a quale titolo. Posso invece, scendendo di un paio di piani, buttar giù qualche riga sul torneo.
Sono un giocatore di primo turno in qualunque sport e ve ne sarete accorti: anche stavolta non c’è stata eccezione. C’è uno spazio, un ruolo, per la comparsa?
In un momento di autocommiserazione ho capito di sì. Per tante ragioni, tra i titoli di coda, ci siamo anche noi. Per cominciare, non potremmo definire bene i contorni del campione se non avessimo il negativo di chi si fa prendere a pallate. Abbiamo anche molte altre qualità: lo alleniamo, gli facciamo trovare la forma necessaria per battere gli avversari veri. Testiamo i suoi colpi senza creare preoccupazioni, anche colpi che non proverebbero mai. Le nostre partite hanno un altro spessore: ovviamente non parlo di tecnica, ma di tutto il resto.
Forse non è abbastanza conosciuta la fatica di dover star dietro a remare con l’unico obiettivo di non sbagliare, anche se sai che è solo questione di tempo; le porte sono chiuse, sei come una candela consumata che sta imbrattando la tavola in attesa di spegnersi. Da una parte i tuoi movimenti spaesati, il polso che non vuole ruotare, l’ansia fin dalla battuta. Al tuo gioco, se ne hai uno, servirebbe tempo, ma non ce n’è. Se ti va bene manderai un colpo in più, quasi sempre costretto ad arretrare. Postura dimessa e sguardo che più che altro è una supplica, di fronte a te la sicurezza impassibile di chi sta preparando il colpo. Non sempre va così, ma per il giocatore di primo turno anche fare punto è un problema. Innanzitutto non esulterà appieno, (e sarebbe invece uno dei veri moventi del fare sport) perché quel punto è inutile ai fini della partita, o perché il pudore ti impone di non rinfacciare al campione il suo errore (è stato un vero errore o un regalo, di quei regali graditi fino ad un certo punto?). Oppure è davvero un “tuo” punto, e allora ti lasci andare. Ognuno ha il suo modo di sdilinquirsi, ma il giocatore scarso esprimerà (verbalmente o no) solo un “era ora” e cercherà di imprimersi nella mente quella giocata per conservarne il ricordo quando avrà abbandonato la scena. C’era anche il pubblico, ai lati del campo. Credo che chi vuole vedere certe partite sia un vero intenditore. Non mi hanno mai appassionato troppo, le finali: gioco perfetto, composto, grandi colpi, ma di giocatori che già conosciamo, che si conoscono e che rivedremo molte volte. C’è incertezza per il risultato, ma a volte lo considero un esercizio di stile, un video da Youtube sul tennis tavolo.
Nelle mie orrende esibizioni, al contrario lo spettatore può carpire di più: l’impegno, il miglioramento impercettibile, un ventaglio di punti di forza e debolezza, gambe che non vanno…
La partita è finita. Ricevi qualche complimento, i complimenti per chi ha perso. Sarai dimenticato velocemente, uscirai dai discorsi di tutti. La notizia è che “tizio ha vinto e affronta caio”, non che tu hai perso. Quello era chiaro da parecchio. L’organizzazione depennerà il tuo nome dal tabellone o ti assegnerà uno zero in classifica, dipende dalle circostanze. Dovrebbe farti rabbia, ma lo sapevi, non hai mai raggiunto il secondo turno, è giusto e meritato. Ora per il giocatore di primo turno inizia una nuova fase: vivere, costeggiandolo, il torneo degli altri, traendone sano divertimento. Che dire, gran torneo, il livello era altissimo, io potevo solo commentare, congratularmi, fare pronostici: il cuore della partecipazione del primo-turnista. È stata una bella esperienza, spero di non avervi confuso con le mie parole. Come scrivevo all’inizio sarà chi ha davvero messo tutto in piedi a fare le riflessioni più importanti. Io sono solo un manovale della racchetta subito eliminato, ma mi sono sentito importante lo stesso.

Simone Caffarini: