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Il Rettore Don Luciano Paolucci ci illustra la dimensione regionale del Seminario regionale Marchigiano

DIOCESI – Pubblichiamo l’intervento del Rettore don Luciano Paolucci Bedini sulla dimensione regionale del Seminario e della formazione iniziale al sacerdozio.

Quando all’inizio del 1900 molte delle diocesi italiane, piccole e povere, non riuscivano a garantire una buona formazione del clero, dalla Santa Sede venne l’indirizzo di cominciare a fondare Seminari più grandi che raccogliessero i giovani che sentivano la vocazione al sacerdozio, fin dalla tenera età, perché fossero accolti e sistemati in miglior maniera e potessero ricevere una più adeguata preparazione al ministero che li attendeva.

Non erano tempi di crisi delle vocazioni quelli, e neanche di disperata pastorale vocazionale! Tutto questo nelle Marche ebbe risonanza maggiore a causa del numero ampio di diocesi allora esistenti, della piccolezza della regione e della inesistenza sul territorio di altri importanti centri di formazione vocazionale. Per molti altri anni ancora, in diverse diocesi della nostra regione, si continuò a tenere in vita l’istituzione dei seminari minori, e in alcune anche il Seminario maggiore continuò in autonomia con la possibilità degli studi filosofici e teologici al proprio interno.

Di fatto nelle Marche Fano divenne la sede del Pontificio Seminario Marchigiano “Pio XI”; lì vissero e crebbero generazioni di sacerdoti soprattutto delle diocesi del nord della regione, con numeri che superavano le trecento presenze e formatori e professori scelti anche fuori regione. Man mano che gli anni passavano, nel dopo guerra e nel dopo Concilio, a Fano cominciarono ad affiliarsi anche le altre diocesi marchigiane che, una ad una, erano costrette a chiudere i loro Seminari diocesani.

La formazione dei preti era stata da sempre appannaggio dei Vescovi diocesani e dei loro stretti collaboratori. E anche se le indicazioni di fondo sulla preparazione dei preti venivano dalla Santa Sede, in ogni diocesi la fatica del modellare i sacerdoti era anche una fine opera artigianale, fatta in casa. Al centro la vita di preghiera e la cura dello studio; tutto dentro il quadro fermo e solido della disciplina, interna ed esterna. Il Seminario regionale metteva in crisi questa visione e chiedeva nuove modalità e maggiori connessioni tra Vescovi, preti e Chiese locali. Per tanti rimase una piccola sconfitta, una necessità a cui chinarsi, un male minore per evitarne uno più grande. E la speranza, forse qualcuno la coltiva anche oggi, quella di poter presto riaprire i Seminari minori e maggiori in ogni diocesi, o almeno nella propria.

Di fatto la formula del Seminari regionali maggiori (o interdiocesani), rappresenta, malgrado le diverse visioni, non solo una grande ricchezza e un’esperienza da sostenere, che può ancora rivelarci un altro orizzonte di Chiesa e di formazione al Presbiterato diocesano, ma addirittura lo sguardo futuro del discernimento e della preparazione dei futuri pastori per tutti i Seminari italiani.
Ce lo racconta la situazione attuale e le difficoltà di chi inspiegabilmente resiste alla storia. Come anche lo dice la bella storia del Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”, che dal 1993 ha sede ad Ancona (al centro della Regione) e che attraverso alcune iniziative di comunicazione, come anche gli articoli mensili sui Settimanali diocesani, si è fatto un po’ conoscere in questo anno pastorale che volge al termine.

Generazioni di preti marchigiani, formati nella vita comune e nella fatica del crescere nella fede e nell’umanità, per rispondere al Maestro incontrato che chiama e invita a seguirlo per sempre. Preti che hanno vissuto insieme, e imparato a vivere nella fraternità, sperimentandone tutta la fatica e il valore. Preti che si vogliono bene, si stimano e si sostengono, memori dei lunghi anni condivisi nel cammino della formazione. Preti che si conoscono nei doni e nei limiti e che per questo si valorizzano a vicenda e provano a collaborare nel proprio presbiterio, come anche a livello regionale. Preti che credono nella Chiesa senza aggettivi possessivi e che la servono con dedizione e passione, nel nascondimento, ma anche nelle situazioni di esposizione e di apertura missionaria. Preti che si chiamano per nome, pregano gli uni per gli altri, si cercano e si rispettano, e che grati di ciò che hanno ricevuto non temono di mettersi a servizio di coloro che, udita la chiamata, si affidano alla Chiesa perché li guidi nella verifica della vocazione e nella crescita verso la statura di Cristo sacerdote.

Che il Seminario regionale non sia poi una buona occasione per crescere come Chiesa!?

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