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Cervelloni orientali rincorsa occidentale

Le notizie buone battono quelle cattive 3 a 2. Certo il dato è soggettivo, diversamente da quanto potrebbe avvenire al termine di un incontro di calcio, perché in questo caso dipende da quale punto di vista si osservano i numeri. E qui la geografia conta parecchio.
In breve. L’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (sede a Parigi, 34 Paesi aderenti), ha diffuso i dati sull’evoluzione dell’istruzione superiore, anzi “terziaria” – ovvero laureati, master, istituti non accademici (ricerca e tecnologia applicate, sanità, arti…) – nel mondo. Ne risulta una rapida crescita del bagaglio formativo complessivo in Asia e nei Paesi cosiddetti emergenti, e una perdita di posizioni da parte di Europa (Italia compresa), America del nord e Giappone.
Quali, allora, le notizie positive? Il fatto stesso che Paesi finora attardati sul versante dell’istruzione di alto livello stiano rapidamente risalendo la china è un fattore positivo su scala globale. Se si tolgono gli occhiali del nazionalismo becero e della mera competizione economica e si osserva il Pianeta con gli occhi dell’universalismo, è evidente che un maggior numero di laureati, ricercatori, esperti, ingegneri, medici, biologi, informatici, economisti in Cina, India, Brasile, Indonesia, Arabia, Argentina lasci intravvedere un passo avanti per l’umanità. Se, come indicato da Ocse, nel 2030 la metà dei cervelloni nel mondo dovesse avere passaporto cinese o indiano, sarebbe anche relativamente comprensibile: si tratta infatti di due Stati che contano già oggi quasi la metà della popolazione mondiale e che risultano in crescita demografica.
La seconda buona notizia riguarda il fatto che – come afferma Ocse – l’”economia della conoscenza” dovrebbe assorbire tutti i laureati e i superlaureati in circolazione. C’è da augurarsi che le previsioni corrispondano al vero!
Terza buona notizia. Anche nel campo dell’istruzione, un po’ di sana competizione dovrebbe far bene agli uni e agli altri e si può pensare che le antiche università italiane o inglesi, i campus americani e le facoltà di Pechino e Nuova Delhi provino a migliorare l’offerta formativa in una sorta di competizione virtuosa al rialzo.
Due, invece, gli elementi negativi. L’Occidente perde terreno e la percentuale di teste pensanti targate Usa, Europa, Giappone arretra abbondantemente, proprio ora che lo sviluppo umano (qualità della vita, salute, ambiente…) e la ripresa economica avrebbero bisogno di maggiore innovazione, tante idee nuove, progetti praticabili, creatività a dismisura.
L’altra brutta notizia è tricolore. All’interno del quadro occidentale, l’Italia perde posizioni. E in un Paese che dovrebbe vivere di economia di trasformazione, di eccellenza (artigianato, moda, cibo…), di turismo, di storia e arte, la faccenda non quadra. Non a caso pochi mesi fa lo stesso Ocse aveva indicato l’Italia come l’ultima in classifica fra i suoi 34 Stati aderenti per spesa pubblica nell’istruzione. In epoca di “buona scuola” servono quindi più investimenti in questo settore. Sarebbero soldi ben spesi.
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