Il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha osservato: “Il fatto che uno Stato avanzi unilateralmente un’iniziativa non fa bene alle decisioni complessive della Comunità”. Giusto. Peccato che da Bruxelles abbiamo dato ragione a Parigi: “Dinanzi a un’emergenza”, vera o presunta, “prima si prendono provvedimenti preventivi, poi si ragiona”. In questo modo il danno economico, e non di meno il danno d’immagine, rischia di mettere in ginocchio il comparto agricolo pugliese. Non solo: ma il “cattivo esempio” francese potrebbe essere seguito da altri Paesi, innescando un vorticoso effetto domino.
Così la calamità naturale abbattutasi sulla Puglia ha scatenato l’atteggiamento nervoso dei cugini “galletti”, comprese paure ataviche e protezionismi retrò che rimandano all’Europa prima della Cee e della Ue: quella delle dogane, delle barriere, dei dazi. Che – tutti lo sanno – hanno il difetto della reciprocità: oggi a me, domani a te…
E se la Francia, sempre più segnata dal lepenismo, voleva far fare al vecchio continente un salto indietro di sessant’anni, ci è riuscita alla perfezione. Quello che si cerca di combattere è il batterio “Xylella fastidiosa”, ma ben più fastidiosa e potenzialmente dannosa appare la guerra commerciale innescata contro chi è già in difficoltà, alla faccia del principio di solidarietà che dovrebbe reggere le sorti comunitarie e costituire un principio cardine del mercato comune.
Tanto che in Puglia, prossima alle elezioni regionali, qualcuno ha subito pensato di cavalcare la pessima notizia, lanciando il monito: stop ai prodotti francesi. Se ulivi, uva, agrumi, albicocchi, pomodori o piante aromatiche non possono andare oltre Ventimiglia, sugli scaffali dei negozi dovranno restare invenduti profumi, champagne e abiti haute couture. Così la Xylella l’avrà vinta tre volte: sugli ulivi, sull’economia pugliese e sul processo di integrazione europea.