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L’Iran di Khamenei in bilico fra nucleare e diritti umani

Di Umberto Sirio

L’accordo sul nucleare con l’Iran, avversato da Israele per il ruolo che il Paese ha “nell’attività terroristica omicida” – come l’ha definita il primo ministro Netanyahu – può prescindere dalla situazione gravissima del rispetto dei diritti umani?

L’opposizione di Israele. “L’Iran prosegue la propria attività terroristica omicida, eppure ciò non impedisce alla comunità internazionale di continuare a discutere un accordo sul suo nucleare”. Come riferisce la stampa israeliana, durissima è stata nei giorni scorsi la dichiarazione del primo ministro, Benyamin Netanyahu, che ha aggiunto: “Ancora questa settimana l’Aiea ha stabilito che Teheran nasconde parte dei suoi programmi. Eppure resta la disponibilità a raggiungere un accordo pericoloso per Israele”. Nel panorama mondiale, l’opposizione di Israele è isolata e soprattutto gli Stati Uniti – impegnati a Ginevra nella trattativa con gli esponenti iraniani – vedono nell’accordo la possibilità di un ulteriore coinvolgimento dell’Iran per fronteggiare l’espandersi dello Stato Islamico. Lo ha rivelato di recente il “Wall Street Journal”, secondo il quale Ali Khamenei, la massima autorità in Iran, nell’ottobre scorso avrebbe scritto al presidente degli Stati Uniti dando un’assicurazione in tal senso.
La reazione dell’Iran in caso di mancato accordo. È sempre il giornale americano a denunciare il fatto che in caso di mancato accordo sul nucleare, l’Iran – interessato all’alleggerimento delle sanzioni che la comunità internazionale ha imposto nei suoi confronti – intraprenderebbe una nuova linea strategica, politica ed economica, punitiva nei confronti dell’Occidente, sintetizzata dalle parole che avrebbe pronunciato recentemente Khamenei: “C’è un grande bisogno di gas in Europa e nel mondo intero, e l’Iran può sanzionarli”.

La situazione dei diritti umani. Una domanda s’impone: il negoziato sul nucleare può prescindere dalla realtà iraniana, così come descritta da Israele e dalle stesse minacciose dichiarazioni della massima autorità di quel Paese? Ancora: può non tener conto – come appare chiaro dai resoconti che vengono divulgati – della situazione dei diritti umani? La questione – ricordata in occasione della vittoria al Festival di Berlino del film “Taxi”, del dissidente e regista iraniano Jafar Panahi, agli arresti domiciliari, condannato nel 2010 al divieto di uscire dal Paese e di fare la sua professione, che viene svolta in segreto – è oggetto dell’ultimo rapporto di Human Rights Watch. Continuano a decine gli arresti dei giornalisti e dei blogger, di persone affiliate a partiti di opposizione vietati, a sindacati, di attivisti e difensori dei diritti umani. Aumentano le esecuzioni: fonti dell’opposizione sostengono che nel 2014 siano state impiccate 400 persone. Le donne iraniane subiscono discriminazioni in molti aspetti della loro vita, come per esempio questioni correlate a matrimonio, divorzio, eredità e custodia dei figli. Indipendentemente dall’età, una donna non si può sposare senza l’approvazione del suo tutore maschile e le donne, in generale, non possono trasmettere la nazionalità iraniana allo sposo straniero o ai loro figli. Viene negata la libertà religiosa ai Baha’i, la più grande minoranza religiosa non musulmana. Vengono perseguitati i musulmani convertiti al cristianesimo, i protestanti che parlano persiano, le congregazioni evangeliche e membri del movimento della Chiesa locale. Molti di loro sono stati accusati di “azioni contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro lo Stato”, che continua a bloccare l’accesso nel Paese del relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Iran e di altri organismi Onu.

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