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Renzi all’Europa: “È una piazza non una trincea”

Di Gianni Borsa

L’Europa “è sulla strada giusta”: parola di Matteo Renzi, premier italiano, che arriva a Strasburgo per un bilancio del semestre di presidenza Ue. Imposta il discorso inforcando le lenti dell’ottimismo, tiene alto l’orgoglio di un Paese “che dà all’Europa più di quanto porti a casa” (i numeri gli danno ragione). Rilancia l’Unione “dei valori”, ma subito ricorda che “l’Europa si declina al futuro”, ovvero “guarda avanti”. Dinanzi alle paure (giustificate) e ai nazionalismi dilaganti, il presidente del Consiglio afferma che il Vecchio continente “non è una trincea né una fortezza, l’Europa è una piazza”. Ma oltre i confini nazionali, qual è la pagella assegnata al governo di Roma?

Autoassoluzione e orgoglio tricolore. Nel suo discorso nell’emiciclo del Parlamento Ue, Renzi richiama gli obiettivi enunciati sei mesi or sono e tira le somme del lavoro svolto. Punto primo: “Abbiamo dato significato al voto popolare” di maggio per l’elezione dell’assemblea comunitaria con la designazione della Commissione Juncker; una procedura nuova in effetti, che la presidenza di turno ha contribuito a gestire con equilibrio. Nonostante l’ondata euroscettica, la maggioranza dei voti dei cittadini europei si era indirizzata verso partiti pro-Europa e così al timone della Commissione – il vero “motore” dell’integrazione – è stato posto un paladino della “casa comune”, il lussemburghese Juncker, espressione del Partito popolare. In secondo luogo, “abbiamo puntato a un cambiamento di paradigma economico – dichiara Renzi -, passando da una austerità” fine a se stessa al “pacchetto di investimenti” presentato dalla stessa Commissione “per rilanciare crescita e occupazione”. Quindi ammette: “In questi sei mesi ci pare di aver visto un cambiamento profondo nella direzione” dell’Unione europea, “ma non ancora nei fatti”. Poi riparte con la verve tricolore, incassando qualche applauso a scena aperta: “Non si guida un semestre pensando all’interesse del proprio Paese, ma pensando al futuro dell’Europa”. E poco oltre: “L’Italia ha contribuito a salvare Stati e banche di altri Paesi, senza prendere un centesimo per i propri istituti di credito”. Quindi un monito rivolto ai connazionali: “L’Italia se vuole stare nella competizione globale deve cambiare”: insomma, a Roma bisogna fare riforme serie e profonde. Matteo Renzi passa in rassegna vari altri temi: dal terrorismo, il tema del giorno, alle migrazioni; dai Balcani all’Ucraina; dagli accordi commerciali con gli Usa al budget comunitario; dal dossier-Libia (“da lì transita il 90% dei migranti che finiscono nelle mani della tratta”) al ruolo che le religioni svolgono “a favore della convivenza pacifica”. Il relatore non nasconde l’insuccesso sulle norme “made in”, “dovuto all’opposizione di vari Stati membri”. Infine alza lo sguardo oltre i confini geografici: “Il mondo reclama più Europa, non meno Europa. Dobbiamo però dire la verità, questo tipo di Europa ha dato l’impressione di essere troppo spesso un modello basato sull’economia, sui parametri, sui vincoli”. Per Renzi è tempo di tornare ai valori e, citando Papa Francesco, dice “no alle paure alimentate dalla demagogia” e dai nazionalismi. Invita a riscoprire le identità nazionali: “Il futuro dell’Europa – confida poi ai giornalisti – è nella cultura”.

Promozioni e bocciature. Come tutti i bilanci stilati nelle sedi istituzionali, i giudizi dipendono dal ruolo ricoperto e dal colore politico degli interlocutori. Quello di Jean-Claude Juncker è benevolo: “Il governo italiano ha fatto molto. Ci siamo messi d’accordo sul bilancio 2015, l’unione bancaria ha compiuto passi avanti e soprattutto la Commissione ha avuto da Renzi un essenziale incoraggiamento nella definizione del pacchetto per gli investimenti e la crescita”. Promozione, ma non a pieni voti, da Manfred Weber, tedesco, capogruppo Ppe: “Diciamo grazie al governo italiano per il lavoro del semestre”, e cita i risultati a suo giudizio acquisiti su bilancio, migrazioni e “ritorno ai valori europei”. Dunque aggiunge: “Questa flessibilità va capita, perché occorre sempre ricordare che le regole” del Patto di stabilità “devono essere rispettate”. Il messaggio al “lassismo” italiano e mediterraneo nei conti pubblici è di tutta evidenza. La prima bocciatura arriva dai Verdi. La leader tedesca Rebecca Harms non è tenera: “Il momento è difficile e non ci si poteva attendere troppo” dalla presidenza italiana. In particolare Harms denuncia la mancanza di una politica comune delle migrazioni, nonostante l’Italia avesse annunciato cambi di rotta; poi ricorda che “l’euro non è affatto stabile e la crisi economica è rimasta”. Pagella negativa da Sinistra unita ed euroscettici di varia marca e nazionalità (con in prima fila il leghista Matteo Salvini e i grillini). Il conservatore polacco Ryszard Antoni Legutkoazzarda: “Sulle migrazioni darei un punto all’Italia, mentre boccio Renzi sul bilancio comunitario”, poco “coraggioso” (e pensare che la Polonia è il Paese che porta a casa i maggiori finanziamenti comuni). Il liberale belga Guy Verhofstadt ritiene invece che Renzi abbia contribuito a porre un argine alla deriva antieuropea. “Il dibattito fra crescita e rigore è stato utile e ora si punta alla crescita e agli investimenti, ma il lavoro – sottolinea – non è affatto finito. Bisogna vigilare affinché le promesse” diventino realtà e che “gli Stati facciano la loro parte” con le riforme. Giudizio sostanzialmente condiviso dalla socialdemocratica portogheseElisa Ferreira: “Ok al lavoro svolto dall’Italia, eppure restiamo in recessione”. Il problema più grave, quello della disoccupazione, riemerge sovente. Nonostante tutto, “è stata individuata la giusta direzione – scandisce Ferreira -, ora chiediamo alla presidenza lettone di mantenere questo slancio”.

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