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A tu per tu con padre Gabriele: “La testimonianza dei Sacramentini è la vita e la fraternità gli uni verso gli altri”

DIOCESI – Abbiamo incontrato il Superiore della comunità dei Sacramentini, padre Gabriele Di Nicolò, per conoscere qualcosa in più sulla sua vita in comunità e sul suo incarico ricevuto il 14 settembre 2014. Le congregazioni del SS. Sacramento (Sacramentini) e delle Ancelle del SS. Sacramento vennero fondate dal santo Pier Giuliano Eymard a metà Ottocento: egli, fortemente colpito dalla vera presenza di Cristo nell’Eucarestia e sentendosi abbracciato dal suo amore, ha coinvolto i suoi coetanei nell’Adorazione del Signore e nel rendere testimonianza di Cristo nella società. Nella realtà di San Benedetto del Tronto è grazie a mons. Luigi Ferri che viene consacrato loro il Santuario dell’Adorazione (chiesa dei Sacramentini) l’8 dicembre 1939.

A settembre ha ricevuto l’incarico di superiore nella comunità dei padri Sacramentini; quale compito svolgeva prima?
Prima avevo diversi compiti sia in diocesi che nel nostro Santuario. In diocesi ero e sono tuttora esorcista, vicario giudiziale, difensore del vincolo presso il tribunale ecclesiastico regionale di Fermo. Svolgevo il ministero presso il Santuario e l’ospedale di San Benedetto; seguivo e seguo anche diversi gruppi e avevo vari incarichi poiché fino a settembre ero il vicario del superiore sacramentino padre Silvano.

Che rapporti ha la comunità dei Sacramentini con la città di San Benedetto?
La comunità dei Padri Sacramentini ha una lunga storia: è dal 1939 che siamo presenti in questa città, quindi i rapporti tra le due sono radicati nella storia della città, nelle vicende, negli avvenimenti di questa cittadina e della sua popolazione. Sono rapporti importanti, perché la nostra comunità è conosciutissima da tutta la cittadinanza e il nostro Santuario è sempre stato frequentato da persone provenienti da tutta la città e da tutta la diocesi. La relazione tra la comunità e la città si è stabilizzata nel tempo attraverso tanti avvenimenti, tante vicende; le esperienze vissute sono tante. Una, ad esempio, è la settimana eucaristica che si svolge ogni anno dopo Pasqua, ormai diventata una tradizione, anche se in passato aveva una risonanza molto più ampia.

Quali difficoltà ha dovuto affrontare con questo nuovo incarico e a quali priorità ha dovuto dare ascolto?
Le priorità sono le persone della mia comunità: essa è formata in prevalenza da persone anziane, molte delle quali con situazioni di salute precaria e col bisogno di essere seguite con particolare attenzione. L’impegno e la difficoltà principale consiste nel servire queste persone, aiutarle nel loro percorso, nel loro cammino, nelle loro esigenze. Il mio impegno è anche quello di portare avanti il discorso pastorale della comunità inserita in questo contesto diocesano, specialmente attraverso il Santuario dell’Adorazione e la parrocchia, il cui parroco collabora con noi altri religiosi.

Dunque la vostra comunità è composta principalmente da adulti.
Sì, l’età media è alta, il più anziano ha da poco superato i 92 anni. Inoltre con noi è presente, seppur non in maniera costante, padre Antonio Monieri, che ha raggiunto i 93 anni di età, e che ogni tanto torna ad Offida nella sede dove ha vissuto per tanti anni. Poi ci sono tutte le altre età per arrivare fino a me, che sono il più giovane.

La sua vita come è cambiata rispetto a prima? Ha una responsabilità diversa nei confronti dei suoi fratelli.
Certo, prima collaboravo in tanti aspetti di carattere ministeriale e pastorale, mentre adesso ho assunto la responsabilità della comunità e dell’istituto. Sono cambiate diverse cose, sono coinvolto in maniera diversa nella vita di tutti i giorni: ho bisogno di dedicare più tempo alla mia comunità, all’ascolto dei fratelli, delle loro esigenze; per questo sono costretto a ridimensionare altri impegni cui magari prima dedicavo maggior tempo. Questo è un aspetto positivo, quello di vivere la fraternità tra di noi attraverso le difficoltà che sempre si incontrano, come in ogni famiglia del resto. Ciò è importante perché la nostra prima testimonianza, qui e ovunque siamo presenti, è quella della vita, della fraternità che viviamo tra di noi.

Redazione:

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