Il colore prima del blu


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Il signor Alfredo ha una spugna in mano e sta pulendo i bagni del ristorante. Lo osservo mentre è inginocchiato. Ha una bacinella vicino a sé e di tanto in tanto ci sciacqua la spugna.

‹‹Dovrei farlo io questo lavoro,›› gli dico.

Lui si gira e mi fa un sorriso: ‹‹Vuoi sapere un segreto?››

‹‹Sì,›› rispondo curioso.

‹‹Fai sempre quello che gli altri non vorrebbero mai fare: stai sicuro che nessuno si lamenterà del tuo lavoro e che nessuno te lo ruberà.››

‹‹Allora continua tu ché io vado in sala a controllare se manca qualcosa,›› dico ridendo.

Il signor Alfredo si ferma e mi dice: ‹‹Ecco! Vedo che hai capito benissimo.›› Ride pure lui, si rimette al lavoro. Resto alcuni istanti a guardarlo e poi vado.

 

Dopo il lavoro accompagno Anna all’Hotel Riviera. Allunghiamo un poco la strada. Passiamo per la piazza. Al bar ci sono i miei compagni di scuola che giocano a carte con gli anziani del paese. Li saluto allungando il passo per paura che mi costringano a fermarmi: non voglio che Anna li conosca. Imbocchiamo una via poco illuminata, mi sento il cuore in gola perché mi rendo conto che devo fare qualcosa; prenderle la mano, per esempio. Dopotutto è buio e magari vorrebbe protezione. Lo faccio e mi sento coraggioso come mio padre.

 

Anna mi stringe forte la mano, mi avvicino il più possibile al suo fianco, la abbraccio alla vita. Improvvisamente ci fermiamo. Non so se sono stato io ad arrestare la camminata o è stata lei. Ci guardiamo negli occhi. Non abbasso lo sguardo, non più. Avvicino le mie labbra al suo orecchio, le sfioro il collo. Lei si gira e ci baciamo, ma è solo un istante. Torniamo a guardarci negli occhi, poi abbassiamo entrambi lo sguardo e riprendiamo a camminare. Alla fine della via riaccade di nuovo. Leggermente più lungo. Un brivido mi sale per la schiena: non ci eravamo sbagliati, prima. Sentiamo degli schiamazzi e qualcuno che corre. Sono i miei compagni di scuola. Ci superano e svoltano l’angolo. L’Hotel Riviera è a due passi, ormai. L’ultimo saluto si riduce a uno sguardo intimorito, a una mano impacciata che non sa come scivolare via dalla sua, a un mugugno sussurrato che avrebbe voluto dire: ‹‹Ci vediamo domani››, ma che è stato solo un biascicare di parole, come quando parla Claudio il guardiano del faro. Anna si incammina verso l’ingresso. Resto lì davanti per un poco. Poi ripercorro al contrario la via, la nostra via, da oggi.

 

Tutte le vie del paese conducono alla piazza, così come ogni mio pensiero porta ineluttabilmente ad Anna. Le vie, a percorrerle, portano sempre da qualche parte, e sono fatte per allontanarci dal luogo di partenza. Qui in paese invece sembra che non conoscano altra mèta oltre l’origine stessa. Le percorro notturne queste stradine in pietra. Attraverso la piazza passando nel mezzo, in diagonale. Ritorno con la mente al nostro primo bacio e sento una fitta allo stomaco che sa di quella stessa paura di cadere in acqua, quando da bambino restavo in bilico su una delle barche del porto dopo esserci saltato dentro, e della stessa soddisfazione per aver superato con coraggio la prova. È una sensazione che dura finché non ci si rimette in equilibrio, un equilibrio che, però, ancora non trovo nella mia vita. Sotto le logge scorgo Sergio il barcaiolo. Sono troppo al buio perché mi riconosca, ma mi saluta lo stesso, tanto chi vuoi che sia se non un paesano o un turista che ha già fatto un giro sulla sua barca? Poco più in là Claudio il guardiano impreca contro un gatto. La luce del ristorante è ancora accesa. Entro, e il signor Alfredo è a un tavolo con una penna e un foglio di carta. Ripone frettolosamente il tutto dentro una cartellina e mi saluta. Lo vedo sorpreso e agitato per la mia presenza. Non dico nulla e non mi avvicino: ho paura che nei miei occhi vi siano tracce dei baci di Anna.

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