Il colore prima del blu


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‹‹Vai a vedere cosa vuole mangiare il Maresciallo,›› mi dice il signor Alfredo con il sangue negli occhi. Lo fisso e resto fermo. ‹‹Vai! Su…››

Prendo una bottiglia di vino.

Il signor Alfredo mi blocca per un braccio. ‹‹Se ti chiedono del vino più buono vieni da me, ché adesso arriverà anche il Sindaco e dobbiamo trattarli bene,›› mi dice sghignazzando.

Vado a posare la bottiglia sul tavolo del Maresciallo.

‹‹Tu sei proprio un bravo ragazzo. Tua mamma come sta?››

‹‹Sempre male, Maresciallo.››

‹‹Mi dispiace. Vedrai che si rimetterà presto.›› Mi allunga una mancia sul tavolo. Lo guardo senza capire. ‹‹Prendila! Su! Quello spilorcio di Alfredo ti darà sicuramente una paga da miseria.››

La metto in tasca. È la prima volta che ricevo una mancia all’inizio del servizio. ‹‹Grazie! Ma oggi non avevate comprato il pesce per il pranzo?›› chiedo, e subito mi mordo il labbro per essere stato inopportuno e invadente.

Ma il Maresciallo è gentile e mi dice che il pesce non era per lui: ‹‹L’ho portato a Chiaretta: un giorno a settimana vado a trovarla e le porto il pesce.››

‹‹Capisco…›› dico perplesso.

Il Sindaco si avvicina e si siede. Non mi guarda e si rivolge subito al Maresciallo dicendogli che non ha molto tempo da dedicargli. Poi si gira di sbieco verso di me. Capisco che devo andarmene. Il signor Alfredo dalla porta della cucina mi fa cenno di raggiungerlo. Mi consegna una pirofila di merluzzi al forno con patate e pachino.

‹‹Per chi sono?›› chiedo.

‹‹Per il Maresciallo e per il Sindaco. Fagli assaggiare i merluzzetti di Maria,›› mi dice ridendo.

Gli faccio l’occhietto e torno in sala. Il Maresciallo si lamenta del vino. Torno in cucina con la bottiglia e riferisco al signor Alfredo. Lui va da Marta e le bisbiglia l’odio per quei due. Prende il vino più scadente che ha e lo mette in una bottiglia di vino eccellente.

‹‹Vedrai che questo gli piacerà,›› mi dice soddisfatto.

Il Maresciallo si rivolge duro al Sindaco. Gli dice che deve fare in fretta perché non c’è più tempo, ma il Sindaco lo vedo nervoso e risponde che ci deve pensare. Lascio il vino. Lo assaggiano e mi fanno i complimenti perché si capisce che è pregiato. Sorrido, ma vorrei sbottare in una risata e rivelare lo scherzo. Mi trattengo e torno in cucina. I due finiscono il pranzo in fretta e se ne vanno senza pagare. Sul tavolo trovo un po’ di spiccioli. Ne parlo con il signor Alfredo. Lui bofonchia qualcosa e se ne va accendendo una sigaretta.

 

 

Arrivo al porto dei pescatori quando le urla degli ordini per la pulizia delle barche sono finite. È già tutto pronto per la prossima uscita. Risate provengono dal bar dei Marinai, ora. Mi avvicino all’ingresso e sbircio dentro. Nico è a un tavolo che beve birra. I tre ragazzini sono seduti con lui. Entro. La puzza di fumo mi si appiccica addosso e gli occhi mi lacrimano. Fuori c’è ancora luce, ma al bar dei Marinai la luce è sempre fioca. Non ha finestre. Nico mi saluta alzando il suo boccale. Prendo una sedia e mi metto di fronte a lui che riprende a parlare. La sua voce è rauca, tossisce. Le sue frasi sono secche, asciutte. Iniziano sempre con un verso profondo, di preavviso. Il linguaggio del mare è fatto di parole brevi, a volte neanche pronunciate per intero.

‹‹… La barca a vela sa sfruttare tutte le direzioni del vento.››

‹‹Cioè?›› chiede un ragazzino.

Nico un po’ spazientito dice: ‹‹Cioè, cioè… a mare non ci sono i cioè! O si capisce o si annega. Per andare a nord non serve che il vento soffi verso nord e per andare a sud non serve che il vento soffi verso sud. E sennò che facciamo?››

Sorrido e penso che dovrei imparare dalle barche a vela che sanno sfruttare anche il vento contrario. Il vento è un’opportunità, sempre. Così come le difficoltà della vita che non sono mai ostacoli.

Un ragazzino cambia discorso e chiede a Nico dove arrivava il mare tanti anni fa.

Nico chiude gli occhi e sembra immergersi nei ricordi. ‹‹Qui c’era il mare. Il paesino era più in alto, dove ora sta la chiesa,›› dice alzando lentamente un braccio. Tossisce e poi riprende: ‹‹Il mare arrivava fin sotto le colline. Poi si è ritirato e ha lasciato spazio al nuovo porticciolo.››

I ragazzini osservano Nico a bocca aperta e gli fanno altre domande. Nico si guarda le mani prima di parlare e si raschia la gola. Io mi alzo, rimetto la sedia al tavolo dove l’avevo presa e me ne vado. Faccio un cenno con la mano per salutare, ma nessuno ci fa caso, tutti presi dalle storie di Nico. Uscendo mi odoro i vestiti che sanno di fumo. Prendo una lunga boccata d’aria e i polmoni si aprono al profumo della salsedine.

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