Paradossi a parte, vista la frequenza e gravità dei fenomeni atmosferici che colpiscono il nostro Paese (ma siamo in buona compagnia in Europa, dove analoghi fenomeni sono avvenuti in Francia, Germania, Inghilterra, negli stati Balcanici e altrove), ci domandiamo: non è forse giunto il momento di ripensare completamente il sistema degli aiuti e la fiscalità specifica per chi subisce danni da terremoti o alluvioni, così come la tempistica degli interventi di ripristino sia delle strutture private, sia – soprattutto – di quelle pubbliche: argini, strade, fognature, reti elettriche, ferrovie, centri abitati? Ci sembra che questa revisione complessiva del sistema della “Protezione civile” e dei suoi corollari finanziari e fiscali sia doverosa. Ne va del bene della comunità civile, dove monta una sorda protesta contro le “autorità centrali” che promettono e spesso non mantengono.
Aggiungiamo una piccola proposta per l’Europa: non è forse il caso, vista la pesantezza dei fenomeni di cui parliamo, che a livello comunitario si consideri di escludere le spese per l’ambiente e il suo ripristino dal computo ferreo del “patto di stabilità”, col suo famoso rapporto debito/Pil, non sforabile?
È una questione di “ecologia umana”, nel senso che dobbiamo anzitutto salvare e sostenere i singoli uomini, cittadini, imprenditori, artigiani, commercianti altrimenti ridotti sul lastrico. Ma sarebbe anche un buon esempio di “ecologia contabile”, riconoscendo che queste spese esulano dagli stringenti parametri europei perché non fanno parte della spesa pubblica improduttiva, bensì di quella necessaria perché uno Stato sia veramente tale.