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A Donetsk e Lugansk si è votato sotto la minaccia delle armi

Di Maria Chiara Biagioni

È di nuovo scontro tra Ucraina, Russia e Unione Europea. Questa volta, il pomo della discordia è il Donbass, terra di confine devastata dalla guerra dove domenica scorsa si sono svolte le elezioni senza però il riconoscimento di Kiev, Unione Europea e Stati Uniti, ma con il beneplacito di Mosca. Le elezioni – vinte dagli indipendentisti filorussi – hanno decretato la vittoria di Alexander Zakharchenko a Donetsk e Igor Plotnitsky a Lugansk, già alla guida delle regioni prima del voto. Con loro sono stati eletti i parlamenti delle due regioni che così si allontanano ancor di più da Kiev. Immediata è stata la reazione del neo eletto presidente ucraino Petro Poroshenko che ha parlato di “una farsa sotto la minaccia dei carri armati” ed ha fatto sapere di aver avviato un’inchiesta penale a carico degli organizzatori delle elezioni per “azioni miranti a sovvertire l’ordinamento costituzionale e alla conquista del potere”. Sulla vicenda è intervenuta anche la nuova responsabile della diplomazia dell’Ue Federica Mogherini che in un comunicato ha definito le elezioni nel Sud-Est dell’Ucraina “illegali”. Mogherini ha poi ribadito che non solo “non saranno riconosciute” ma vengono ritenute come “un nuovo ostacolo sulla via di una soluzione pacifica del conflitto”. Diversa la posizione di Mosca che invece ha riconosciuto la validità del voto. “Le elezioni nelle regioni di Donetsk e Lugansk si sono svolte in modo organizzato e con un’alta affluenza”, fa sapere il ministero degli Esteri russo precisando che rispetterà “la volontà espressa dai cittadini del Sud-Est”.
Un esito “brutto, molto preoccupante anche se assolutamente prevedibile”. Usa parole schiette il professore Aldo Ferrari, direttore della ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi di Milano. Nel commentare il voto ucraino, Ferrari dice che il loro esito era “assolutamente scontato nella situazione bellica” in cui si trova la Regione del Donbass dove “le uniche forze organizzate sono quelle filorusse. Una situazione nella quale anche chi non fosse d’accordo, non ha avuto la possibilità di organizzarsi politicamente. Molti, tra l’altro, hanno lasciato le case per cui non si sa neanche esattamente quante persone fossero presenti. Sono pertanto elezioni non solo illegittime e inaccettabili dal punto di vista internazionale ma anche limitatamente rappresentative”. Il professore fa notare come purtroppo il Donbass non è il primo caso di regioni separatiste che in un modo o nell’altro hanno acquisito all’interno dell’area dell’ex Unione Sovietica uno Statuto di indipendenza “de facto”. Si tratta del Nagorno Karabakh che è una repubblica autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaigian; dell’Abcasia nell’Ossezia meridionale nel Caucaso e della Transnistria nei territori della Moldova. Ma se questi territori sono poco importanti per lo scacchiere europeo internazionale, il Donbass ha un peso diverso in quanto rappresenta una regione molto più popolosa, sicuramente più importante dal punto di vista economico, visto che è il principale centro industriale dell’Ucraina. Per Ferrari “il rischio che diventa a questo punto quasi una certezza, visto l’esito delle elezioni e la volontà di Mosca di riconoscerle, è che ci stia avviando verso un nuovo Stato ‘de facto’ ma non ‘de jure’, che si insinua come un cuneo all’interno dell’Ucraina e nelle relazioni tra la Russia e l’Occidente”. Dal punto di vista internazionale inoltre, occorre valutare anche il fatto che l’Ucraina non può diventare membro della Nato perché c’è un articolo che preclude l’accesso a paesi che abbiano contese territoriali al loro interno. “Da questo punto di vista il Donbass oltre alla Crimea sono fattori che impediscono la piena adesione dell’Ucraina alla Nato e da questo punto di vista – conclude Ferrari – la situazione si aggrava ulteriormente”.
Forti sono le reazioni a Kiev contro l’esito elettorale del Donbass. “Non si tratta di elezioni – dice subito il gesuita padre Andriy Zelinskyy prima di entrare in aula dove fa lezione a Kiev – perché sotto la parvenza della democrazia, abbiamo assistito ad un vero e proprio spettacolo. La gente ha votato sotto la minaccia delle armi: come si fa in queste condizioni a credere che si siano svolte elezioni libere? Uno spettacolo necessario alla Russia per continuare la sua politica”. Anche il sacerdote ricorda che quanto sta avvenendo nell’est dell’Ucraina è qualcosa di molto simile a quanto è già avvenuto nelle piccole repubbliche autonome come la Transnistria dove la Russia non ha perso la sua influenza. “Il problema di fondo – conclude poi padre Zelinskyy è che Europa e Russia stanno parlando ma con linguaggi completamente diversi. L’Europa usa categorie pragmatiche mentre Putin utilizza una lingua legata ancora alla ideologia sovietica. Un linguaggio rivisitato in termini più attuali e mascherato di democrazia ma che utilizza sempre gli stessi vecchi meccanismi”.
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