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Sì, la famiglia ha bisogno di una nuova narrazione

Di Chiara Giaccardi
Il tema scelto da Papa Francesco per la 49ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, “Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro, nella gratuità dell’amore”, è prezioso per tante ragioni.
Intanto offre una indicazione metodologica ‘olistica’: la vita è una, il cammino della chiesa è unitario (non un accumulo di iniziative), la comunicazione non è un ambito a sé stante da affrontare in modo isolato e tecnico. E anche i messaggi per la giornata delle comunicazioni sociali non sono flash estemporanei, ma costruiscono a loro volta un percorso unitario.
Nel messaggio dello scorso anno, il tema era la centralità antropologica dell’incontro, e la conseguente definizione della comunicazione come riduzione di distanze e costruzione di prossimità: con l’icona del Samaritano, modello del comunicatore che si fa prossimo. L’incontro è l’antidoto all’autoreferenzialità, dato che è sempre incontro di altri e di altro, e dice la natura relazionale dell’essere umano: “la persona vive sempre in relazione. Viene da altri, appartiene ad altri, la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri” (Lumen Fidei 38). Proseguendo su questa linea, il tema messaggio di quest’anno affronta il contesto comunicativo per eccellenza: la famiglia.
Anche questa è una scelta programmatica. Dice che in un mondo che esalta l’individuo, il contesto che “falsifica” questa narrazione contemporanea è proprio la famiglia: lì respiriamo il fatto che siamo esseri relazionali, che abbiamo ricevuto la vita da altri, che a loro volta possono trasmetterla avendola ricevuta. E questo dono della vita ricevuta, custodita, fatta crescere con sollecitudine è la radice di una gratitudine che diventa gratuità, capacità di eccedenza rispetto alle relazioni strumentali e contrattuali così diffuse e così limitanti.
La famiglia è l’unico luogo in cui non ci possiamo “disconnettere” dall’alterità, perché i legami non possono essere cancellati, anche se a volte vorremmo illuderci del contrario. È un’autentica scuola di alterità, dove ciò che non abbiamo scelto è ciò che ci costituisce nel senso più profondo. In famiglia i legami non sono l’ostacolo che limita la libertà individuale, ma al contrario la condizione per liberarci dalla prigione di noi stessi e dei nostri limiti, e quindi per essere liberi.
La famiglia è anche uno spazio di autentica e gioiosa convivialità delle differenze, capace di valorizzarle senza appiattirle: la differenza “sincronica” tra i generi (il padre e la madre, i fratelli e le sorelle) e quella “diacronica” tra le generazioni (i genitori, i nonni, gli zii, i nipoti…). In un mondo dove cerchiamo solo chi ci somiglia, e la relazione più che un incontro rischia di diventare uno specchio narcisistico, la famiglia svolge veramente un ruolo insostituibile nell’educare alla bellezza della differenza. Che non è mai equivalenza, come le narrazioni contemporanee sostengono, ma incontro tra unicità. La famiglia è anche il luogo dove si perdona, dove ci si riaccoglie continuamente, dove si sperimenta concretamente la possibilità della risurrezione.
Per questa sua bellezza e unicità, pur con le fatiche e le difficoltà, la famiglia ha bisogno di essere raccontata. Sfuggendo da un lato alle narrazioni mortificanti della cultura contemporanea, che la vedono come una istituzione obsoleta e oppressiva, o negano la specificità della famiglia eterosessuale. Ma sfuggendo anche alle rappresentazioni puramente difensive, che trasformano la famiglia nella bandiera di una battaglia ideologica, che spesso con la vita vissuta delle famiglie ha ben poco a che fare.
Questo messaggio è l’occasione per migliorare la capacità di raccontarsi: perché la narrazione è dono di sé, che allestisce lo spazio per condividere esperienze. Per poter imparare dalla vita, luogo di immaginazione creativa e sempre eccedente, come affrontare le sfide del presente, nella capacità tutta umana di coltivare custodendo, di innovare le forme nella fedeltà alla sostanza, che è la comunione feconda tra un uomo e una donna. Perché solo nell’incontro con l’alterità si può generare.
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