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I costi dell’austerità scaricati sui cittadini attraverso la Tasi

Di Francesco Rossi
Un “bancomat” con cui i Comuni fanno cassa, a danno dei ceti più deboli e – in particolare – delle famiglie con figli. Per i quali, in fin dei conti, era più conveniente la famigerata Imu sulla prima casa. È quanto emerge dai dati sulla Tasi elaborati dai Centri di assistenza fiscale (Caf) delle Acli e dalla Cgia di Mestre. Secondo le Acli, che a margine del loro incontro di studi in corso a Cortona hanno presentato l’indagine condotta sui 7.405 Comuni italiani (su 8.057) che hanno deliberato in merito, “l’imposizione fiscale sulla casa” viene usata “quasi come una sorta di bancomat, mettendo in forte difficoltà famiglie e imprese, soprattutto i ceti più deboli”. Mentre la Cgia rileva che, nel caso in cui i proprietari della prima casa hanno un figlio convivente, in un Comune capoluogo di provincia su due la Tasi sarà più pesante dell’Imu. Per non parlare della complessità dell’imposta, il cui calcolo – osservano le Acli – “non appare certo andare nel senso di una semplificazione amministrativa”.
I cittadini pagano le politiche di “austerità”. I Comuni che non hanno deliberato applicheranno l’aliquota dell’1 per mille; tra gli altri 7.405 solo 897 hanno deciso di portare a zero la Tasi sulla prima casa mentre, nei restanti 6.508, l’aliquota media è dell’1,95 per mille. Decisamente superiore l’aliquota dei capoluoghi di provincia, pari mediamente al 2,5 per mille: tra questi, solo Olbia e Ragusa hanno deciso di cancellarla, mentre in 9 non hanno preso alcuna decisione. “Valutando nell’insieme le delibere Tasi – commenta Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli – si percepisce come i Comuni, su cui lo Stato ha scaricato gran parte degli oneri delle politiche di austerità, con i tagli ai trasferimenti statali, si siano rivalsi sui cittadini”.
Colpite le famiglie con figli. A peggiorare la situazione, la vicenda delle agevolazioni, drasticamente ridotte rispetto a quando c’era l’Imu sulla prima casa. Detrazioni per i figli o per i portatori di handicap, legate alla rendita catastale o al reddito del proprietario sono state previste, in misura variabile, in appena il 36% delle delibere comunali e, in particolare, solo 869 Comuni hanno “detrazioni extra per i figli”. “Questo è molto grave, contravviene – osserva Bottalico – al principio della progressività dell’imposizione fiscale. E se si va a vedere nel dettaglio, le residue agevolazioni sono anche di minore entità”. Le detrazioni per i figli rappresentano un caso “emblematico” perché, se “nel precedente sistema di tassazione sulla casa erano applicate su tutto il territorio nazionale e a partire dal primo figlio”, ora “con la Tasi solo poco più di un decimo dei Comuni le prevede e spesso queste scattano solo dopo il terzo o quarto figlio”.
Un’incertezza per i bilanci delle aziende. Ma le conseguenze della nuova imposta si fanno sentire anche nel mondo del lavoro. Circa un Comune su due, infatti, ha deliberato la Tasi anche per gli immobili locati e per quelli che servono ad attività agricole, produttive, industriali e commerciali. Le Acli la definiscono “addizionale Imu” perché va ad aggiungersi all’Imposta municipale (Imu) istituita nel 2012, subentrando all’Ici, e che in questi anni non ha certo ridotto il suo peso. “È un clima d’incertezza – lamenta al Sir Stefano Tassinari, vicepresidente e responsabile lavoro delle Acli – che pesa sulle attività produttive, non consentendo sviluppo e progettazione. Parlare di ripresa dell’occupazione, infatti, significa guardare al futuro. Ma finché avremo una condizione in cui ogni territorio usa strumenti di misura diversi non è possibile fare chiarezza e favorire nuovi investimenti”. Tassinari richiama la necessità di un “rapporto di fiducia tra cittadini e Stato”, che richiede “una promessa reciproca, mentre ora non è chiaro perché si paga quest’imposta, all’infuori del fatto che è l’ultima possibilità che un Comune ha per sopravvivere”. Per cambiare davvero passo non bastano annunci e provvedimenti spot: servono misure chiare e condivise, e soprattutto uguali per ogni parte d’Italia.
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