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L’impresa di Vincenzo: il cammino di Santiago con la sedia a rotelle

Di Paolo Scarsi
Ottocento chilometri con la sedia a rotelle, lungo lo storico cammino di Santiago de Compostela. In solitudine, con la sola compagnia di don Gnocchi e di una sua reliquia. È questa l’impresa compiuta da Vincenzo Russo, 64 anni, colpito da poliomielite all’età di tre anni, una vita trascorsa nei centri e nelle strutture della Fondazione Don Gnocchi, presso il quale ora è docente universitario. Lo abbiamo contattato telefonicamente per saperne di più.
“Vincenzo, perché?”, questa la prima domanda che nasce spontanea. Perché hai deciso di fare il Cammino di Santiago in sedia a rotelle?
“Perché? Me lo sono domandato anche io, soprattutto ora che sto scrivendo un libro sulla mia esperienza. In un certo modo sono stato ‘chiamato’. Un giorno di febbraio ho digitato sul computer la parola ‘camminare’: tra i tantissimi risultati il mio occhio è stato inspiegabilmente attratto dal Cammino di Santiago, che quasi non conoscevo. Una sera facendo zapping con la tv ho visto il film ‘Il Cammino per Santiago’ di Emilio Estevez con Martin Sheen: la storia di un americano che va in Francia dove il figlio è deceduto nel corso di una tormenta sui Pirenei. All’idea iniziale di riportare indietro le ceneri del figlio sostituisce quella di proseguire il pellegrinaggio del figlio portandole con sé. Per me è stato decisivo il momento in cui il padre disperde le ceneri del figlio vicino al Santuario di Muxia, (simbolo del Cammino che nel 2011 fu semidistrutto da un incendio). Quella scena mi ha convinto a partire”.
Cosa ci puoi dire della tua esperienza? Quali gli aspetti positivi e negativi?
“Sono partito senza farmi troppi problemi, pensando fosse una facile passeggiata: ho deciso solo la tappa d’inizio e la media dei chilometri giornalieri, circa 20/25. Volevo partire con la mia carrozzina ma – a sentire gli esperti – non ce l’avrebbe mai fatta e così ho utilizzato il modello C2000 messomi a disposizione dalla Otto Bock di Budrio. È invece stato molto più difficile e faticoso di quanto pensassi ma anche molto più bello. Ciò che mi ha continuamente meravigliato sono le persone incontrate, che hanno dato ‘anima’ al mio percorso. Ricordo tra i tanti un ciclista tedesco: il 21 luglio ero da poco partito quando la carrozzina si è, per la seconda volta, fermata. Mi sono sentito sconfitto, ho pensato di non potercela fare, Santiago era troppo lontana e irraggiungibile. Poi si è fermato quel ragazzo, mi ha tranquillizzato, ha chiamato i soccorsi e li ha attesi con me. Al momento di separarci mi sono scusato per avergli fatto perdere tempo e lui mi ha risposto: ‘Non è mai tempo perso quando si incontrano persone speciali che sfidano i propri limiti’. La difficoltà maggiore invece è poco prosaica: i bagni. Erano il mio pensiero fisso perché gli ostelli sono poco attrezzati per i pellegrini su sedia a rotelle”.
Si dice che il Cammino di Santiago “dia” qualcosa a chi lo percorre. A te ha dato qualcosa?
“Assolutamente si, anche se non riesco ancora a ben focalizzarlo. Una sorta di rigenerazione, di rinascita, quasi un fare pace e riconciliarsi con se stessi. Da quando sono tornato a casa mi trovo a ridere a scherzare con me stesso. ‘Mi piace vivere’ sono tornato a dirmi. Qualcosa dentro di me è stato smosso. Non sono un campione di fede, ma vado a messa quasi tutti i giorni e lo faccio per don Carlo, un uomo che, a me come ad altre migliaia di persone, ha dato l’opportunità di non perdersi, di osare, di andare costantemente al di là dei propri limiti: questo secondo me è il suo miracolo. Sono entrato al don Gnocchi di Roma a 5 anni, a 11 anni sono passato in quello di Milano, da dove non mi sono più mosso. Lì ho trascorso infanzia, adolescenza e giovinezza; ho persino trovato casa proprio a fianco: un cordone ombelicale mai tagliato. Di don Carlo ricordo un episodio solo del 1955 a Roma: con gli altri bambini e le suore lo aspettavamo in visita. Arrivò e chiacchierò con noi; ne ricordo la mano molto magra sulla mia testa e il volto sofferto di chi è malato. Pochi mesi e ci avrebbe lasciato”.
Perché hai portato la reliquia di don Carlo a Santiago?
“Ogni volta che faccio qualcosa di particolare porto con me un simbolo dell’Istituto. Per quest’occasione sono andato dal Presidente della Fondazione per chiedergli se avrei potuto indossare la maglietta. Lui mi chiese invece se avrei voluto portare una reliquia di don Carlo a Santiago. È stata per me una gioia immensa avere questo prezioso compagno di viaggio. A Santiago, dopo la messa mattutina celebrativa gli ho parlato ‘Don Carlo, qui ci separiamo. Io proseguo, tu ti fermi. Ma rimani nel mio cuore’”.
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