Don Federico (68)

VILLA ROSADon Federico Pompei parroco di San Gabriele dell’Addolorata di Villa Rosa, mostra un carattere concreto.
Ha festeggiato da poco i 40 anni di sacerdozio e il suo percorso di vita sacerdotale ha attraversato tre parrocchie, che in quarant’anni possono sembrare poche ma in ognuna, don Federico ha vissuto tante esperienze che lo hanno arricchito come parroco e come uomo, esperienze che gli sono rimaste nel cuore. Mentre ci racconta la sua vita è un fiume in piena, a partire dalla sua vocazione.

Don Federico quando hai avuto il “sentore” che Dio ti stava chiamando alla vita sacerdotale?
7 aprile 158 giorno della Cresima: con la mia famiglia, una famiglia di marinai che abitava vicino alla chiesa della Madonna della Marina, andai a Ripatransone dove ebbi occasione di incontrare l’allora Mons. Radicioni che guardando me e i miei quattro fratelli disse “Chissà se uno di questi volesse dedicare la propria vita al Signore?”. Ecco questa frase mise in moto qualcosa dentro di me e fu così che poco dopo chiesi ai miei genitori di poter entrare in seminario, ma per quell’anno, essendoci pochi iscritti, avevano deciso di non far partire la classe della V elementare, quando mi fu riferito io dissi a mia madre che se non avessi iniziato quell’anno non avrei iniziato più. Mia madre riferì la mia risposta al parroco e fatto sta che io iniziai il seminario in quell’anno.

Una vocazione chiara e decisa, ma hai mai avuto dei dubbi, dei momenti di crisi?
Dei momenti di crisi veri e propri no, non ricordo scossoni particolari. In terza media ebbi qualche problema di salute, il medico di famiglia disse a mia madre che forse era il caso di farmi uscire dal seminario per un periodo di tempo, ma quando mamma me lo riferì io risposi:”Dì al medico che pensasse a fare il suo lavoro” e volli continuare  con il seminario. Di tutte le classi che ho frequentato sono stato uno dei pochi, se non l’unico, a diventare sacerdote.

E poi è arrivata la consacrazione sacerdotale nel 1974 e il tuo ministero in tre parrocchie.
Negli anni 1968-1974 ho avuto la fortuna di trascorrere il fine settimana in parrocchia e quindi di prendere visione e coscienza della vita parrocchiale: la realtà complessa  dei giovani e degli adulti. Diventato sacerdote nel 1974 il Vescovo mi nominò vice parroco della Parrocchia S.Maria della Marina. Dal 1974 al 1982 mi sono dedicato moltissimo alla pastorale dei ragazzi, insegnando anche nella scuola media “Gabrielli” di S.Benedetto del Tronto; dal 1982 al 1991 ho dato più tempo alla pastorale dei giovani ed anche a tante iniziative della Parrocchia ( Caritas parrocchiale – festa della Madonna della Marina). Poi nel 1991 ebbi la chiamata a diventare parroco, avevo due possibilità : Centobuchi e Sant’Egidio; rimisi la decisione nelle mani dell’allora Vescovo Chiaretti, che scelse per me la parrocchia di Centobuchi, visto e considerato che da lì avrei potuto continuare, senza problemi, a svolgere il mio compito nella pastorale marittima. A Centobuchi mi sono rimboccato le maniche: non c’era una chiesa, ho iniziato da un garage e nel frattempo ho incominciato a cercare un terreno dove costruire, cosa non facile, ma alla fine ho ottenuto di poter costruire il complesso parrocchiale  nel luogo che ritenevo più adatto. Ma il lavoro più importante e che più mi ha entusiasmato è stato quello di dare vita non solo alla chiesa di mattoni, ma alla Chiesa di uomini e donne. Iniziai a creare occasioni di incontro e di coinvolgimento per tutti: visita e benedizione delle famiglie, incontri per i sacramenti, insegnamento della religione nella locale scuola media, incontri nelle zone parrocchiali e tante iniziative di carattere ricreativo e sociale … ed è fiorita così una bella realtà, un’esperienza che mi ha maturato come uomo e sacerdote. Nel 2009 dopo 18 anni di servizio alla comunità di Centobuchi mi arrivò un’altra “chiamata”, la parrocchia di San Gabriele dell’Addolorata di Villa Rosa stava vivendo un momento di difficoltà e il Vescovo Gestori mi chiese di rendermi disponibile per questa comunità e così lasciando la parrocchia di Regina Pacis in buone mani, partii per la mia nuova missione e così eccomi qui a festeggiare i miei primi quarant’anni di servizio, in una comunità composta da villarosani, persone che vengono dal nord, dal sud e tanti stranieri, dove il mio primo impegno è stato quello di ricreare un clima di serenità e di unire una comunità così variegata.

Ci racconti un’aneddoto, un evento che in questi anni ti ha colpito in maniera particolare, che ti è rimasto nel cuore?
C’è un aneddoto in particolare, legato ai miei ricordi di prete giovane e che accadde durante un viaggio a Lourdes (1974). Mi trovavo nella Chiesa di Lourdes e ad un tratto mi si avvicinò una giovane signora e tra le lacrime cominciò a parlarmi, ma non parlava la mia lingua, non la capivo e cercavo di farglielo comprendere, senza considerare che, secondo le regole dell’epoca non potevo confessare ancora persone adulte, ebbene questa donna aveva un gran bisogno di sfogarsi (confessarsi?) e non sembrava capire le mie perplessità. Alla fine le diedi l’assoluzione nonostante tutto e lei sembrò ritrovare un po’ di serenità.

Ultima domanda: c’è una battuta che vuoi fare o un consiglio che vuoi dare ai giovani preti alle prime armi?
Più che un consiglio vorrei augurare ai giovani preti di vivere la parrocchia non solo come luogo di lavoro ma soprattutto come presenza, quindi condividere in tutto (gioie e dolori) la vita delle persone (dai bambini agli anziani) e non chiudersi dentro la realtà parrocchiale ma essere in comunione con tutte le altre comunità parrocchiali e non.

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