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C’era una volta un bimbo malato…

“C’era una volta un elefante rosa”, racconta Neri Marcorè. “C’era una volta un drago buono”, legge Cesare Bocci. “C’era una volta un mago”, narra Anna Foglietta. Non è un reading di favole dei fratelli Grimm e nemmeno un contest su Gianni Rodari. Gli autori delle favole lette con passione e partecipazione da tanti professionisti dello spettacolo sono i bambini ricoverati all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. Il progetto, veramente mirabile, si chiama “Storie Favolose” (www.storiefavolose.it) ed è nato per valorizzare le invenzioni infantili e dimostrare come in ospedale non abiti solo sofferenza, ma trovino spazio anche speranza e invenzione.
Beatrice, Martina, Isabella, Giulia, Mattia e tutti gli altri bambini che partecipano al progetto, non hanno permesso alla malattia di avere la meglio sulla propria fantasia. Anzi, hanno affidato alle favole e al loro messaggio una sorta di medicina narrativa, uscendo dall’angustia delle stanze ospedaliere e dando forma alle paure e alle speranze. Per parallelo letterario, che i bambini sappiano usare immaginazione e capacità d’improvvisazione anche nei momenti più difficili, è ampiamente dimostrato dal famoso gioco del “facciamo”, descritto da Stefano Benni ne “La compagnia dei Celestini”: “Il ‘Facciamo’ si pratica quando i giocatori non hanno un campo adeguato: ad esempio sono immobilizzati a letto in ospedale, o in galera. Si può giocare tra due squadre complete ma anche con due soli giocatori. I contendenti si dispongono uno di fronte all’altro e il primo dice: ‘Facciamo che io tiravo’ e l’altro ‘Facciamo che io però paravo’ e così via immaginando. Gli inventori del ‘Facciamo’ furono due bambini rinchiusi nel lazzaretto di Firenze durante la peste del 1348, e la partita fu vinta dai Seicento Balestrieri Neri, immaginati dal piccolo Guittone, contro i Tre Giganti di Certaldo inventati dal piccolo Bernardo. In questa particolare versione del gioco occorrono grandi doti di prontezza metalogica e fantamobilità, oltre che una buona resistenza fisica”.
Ora, l’Ospedale Bambino Gesù è una sorta di piccola città nella città: annualmente ben 2.600 operatori, tra medici, infermieri, ricercatori e volontari, forniscono più di 1 milione di prestazioni a bimbi e ragazzi da tutto il mondo. Ma non sono solo le prestazioni sanitarie che fanno la differenza per aiutare i piccoli ospiti nella guarigione, quanto piuttosto la rete di servizi, diciamo “accessori”, che attraverso la sensibilità delle relazioni completano accoglienza, “to cure” e “to care”. Facciamo che… c’era una volta un bambino malato, ma domani guarisce.

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