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L’industria del farmaco pronta a investire un miliardo e mezzo

Di Luigi Crimella

“Dobbiamo pensare all’Italia come al Canton Ticino, un posto dove ti risolvono tutti i problemi e dove puoi aprire una fabbrica in 20 giorni”: chi ha osato dire questa frase “troppo” positiva, mentre nel nostro Paese siamo abituati da anni alle lamentele e ai tristi canti delle cassandre? Il coraggioso in questione è l’economista e dirigente industriale Marco Fortis, vice-presidente della Fondazione Edison, invitato da Farmindustria a parlare in occasione dell’assemblea annuale 2014, svolta a Roma oggi (3 luglio). Ebbene, Fortis ha voluto dare una specie di scossa elettrica alle centinaia di industriali, dirigenti e politici presenti al Teatro Argentina, e lo ha fatto con dovizia di dati positivi, non solo inerenti il mondo del farmaco in cui l’Italia è primatista in Europa, seconda solo alla Germania. Infatti, ha confermato le cifre sull’eccezionale sviluppo dell’industria farmaceutica italiana, con le sue 174 fabbriche, i 65mila addetti che arrivano a 130mila con l’indotto, i 6mila ricercatori di altissimo profilo, i 28 miliardi di produzione che per tre quarti va all’estero. L’Italia, Fortis ne è convinto, “può consolidare un ruolo di hub farmaceutico europeo”, e in pratica surclassare la Germania e assumere la leadership del mercato, mentre in passato ha subìto ingiustamente una fama negativa generalizzata, che invece non merita affatto. “Abbiamo uno tra i debiti privati più bassi del mondo – ha ricordato – e il nostro debito pubblico invece è simile a quello di Germania, Francia e Gran Bretagna. Per di più il nostro avanzo primario è doppio di quello della Germania e abbiamo accumulato dal ’96 ad oggi quasi 600 miliardi, riuscendo così a rimborsare cash varie quote di debito pubblico in scadenza. E questo non è da tutti”.

I primati italiani e la ricerca nel “biotech”. Una ventata di positività, quindi, a cui ha fatto da controcanto un’altra notizia di segno positivo: quella annunciata dal presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, quando ha comunicato che “le industrie farmaceutiche italiane sono pronte a investire nei prossimi tre anni un miliardo e mezzo di euro, oltre che a creare almeno 2mila nuovi posti di lavoro di altissima specializzazione da qui a un anno”. Uscendo da anni e anni di crisi, di tragedie di imprenditori che si suicidavano, ascoltare notizie come queste fa indubbiamente tirare un sospiro. Il settore del farmaco è uno di quelli più promettenti a livello mondiale, come lo prova l’aumento costante della durata della vita media, e l’Italia svetta per una lunga tradizione di aziende che hanno scoperto e brevettato centinaia di prodotti oggi diffusi in tutto il mondo. Scaccabarozzi ha ricordato le 50 acquisizioni da parte di industrie italiane in giro per il mondo, con 300 insediamenti fuori dai nostri confini. Ha sottolineato che siamo primi, anche rispetto alla Germania, per produzione pro-capite. Siamo “campioni del mondo” per esportazione di farmaci, occupiamo fino al 90 per cento tra laureati e diplomati, l’innovazione è tra i nostri punti di forza e – soprattutto – siamo molto lanciati verso il “biotech”, cioè le medicine realizzate non con composti chimici, ma con innovazioni biotecnologiche. Sono 110 i farmaci biotech disponibili al momento, mentre al mondo se ne stanno sviluppando 907. Le molecole in sviluppo italiane sono ben 403: quasi la metà del totale della attuale ricerca!

La “tragica lotteria della nascita” Nord-Sud. Abbiamo anche un altro primato: quello del sistema sanitario pubblico più ampio e ricco al mondo (lo ha ricordato la ministra della Salute Beatrice Lorenzin) anche se negli ultimi anni ha subito numerosi “tagli” e riforme a raffica, ben 40 in neanche un decennio. La copertura sanitaria pubblica, pur così ampia e invidiata da quasi tutti gli altri paesi avanzati, ha però i suoi punti deboli. Ad esempio, il presidente di Farmindustria ha ricordato la “tragica lotteria della nascita” per cui chi vive in una regione (quasi tutte del nord) “può contare su elevati livelli di assistenza, mentre chi risiede in un’altra è costretto a migrare altrove per ottenere terapie innovative e soprattutto rapide”. Sono quasi 800mila gli italiani che ogni anno cambiano regione per curarsi. Le regioni che “ricevono” di più sono Lombardia (76mila), Emilia-Romagna (67mila), Toscana (34mila), Lazio (21mila), Friuli (10mila), Veneto (5mila), mentre quelle da cui fuggono i pazienti sono Campania (56mila), Calabria (52mila), Sicilia (34mila) e altre del centro-sud a seguire. La ministra Lorenzin ha lanciato un messaggio di speranza: “Con l’imminente firma del ‘patto della salute’ – ha detto – vedremo la stabilizzazione dei nodi fondamentali della sanità pubblica”. Si avvicina, cioè, un consolidamento generale, con criteri uguali per tutti per la spesa sanitaria, l’edilizia ospedaliera, le centrali di acquisto di medicinali e macchinari medicali. Anche se non dobbiamo dimenticare la presenza di probabili “abusi”, specie sull’esenzione-ticket che riguarda tuttora il 50% degli assistiti e il 70% delle ricette. Così assistiamo al devastante fenomeno dei ricchi “veri” che risultano “esenti” e dei “veri” poveri che non riescono a curarsi, rischiando persino l’abbandono sanitario e sociale.

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