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Affettività e sessualità per i giovani la sfida della bioetica quotidiana

Giovanna Pasqualin Traversa
Offrire strumenti di comprensione e interpretazione, proporre un orizzonte di senso e, se necessario, lanciare qualche salvagente nel mare in tempesta, senza lasciarsi soffocare dalla cultura dominante. A chiederlo sono i giovani. Paola Ricci Sindoni, presidente dell’associazione “Scienza & Vita”, spiega al Sir ragioni e obiettivi del percorso formativo sull’affettività e la sessualità che il XII convegno nazionale “Amore & Vita. Questioni di cuore e di ragione”, che con il XIV incontro delle associazioni locali si è tenuto nei giorni scorsi a Roma, intende lanciare. Ad inaugurare i lavori è stata, il 23 maggio, la relazione di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei.
Giovani al centro. È già di per sé indicativa la modalità di articolazione dell’incontro: solo due le relazioni di “esperti”, uno psicoterapeuta e un ginecologo-sessuologo, per tracciare lo status quaestionis lasciando poi spazio a quattro gruppi di lavoro e ad un momento “autogestito” dai giovani. “Sono proprio i giovani della nostra associazione – confida Ricci – ad averci chiesto questo tipo di intervento”. L’iniziativa nasce da una sorta di “consultazione” tra circa 300 iscritti alle 108 sedi locali, la maggior parte ragazzi, adolescenti ma soprattutto studenti universitari che, “disorientati dalla vicenda delle baby squillo romane ci hanno scritto esprimendo il loro bisogno di mettere a fuoco a 360 gradi il tema affettività-sessualità”.
Tre obiettivi. Tre gli obiettivi del convegno. “Dimostrare che la bioetica deve fondarsi sulla formazione personale e sulla chiarezza delle prospettive all’interno delle quali i valori devono essere intessuti, incarnati: non una bioetica astratta, ma ‘della vita quotidiana’”. Ulteriore obiettivo “dare spazio alle giovani generazioni che hanno voglia di condividere in modo costruttivo punti di riferimento attraenti e credibili”. Al convegno sono presenti anche “genitori, medici, insegnanti, il nostro bacino di confronto nelle associazioni sparse sul territorio. Vorremmo valutare – ed è l’ultimo punto – la possibilità di creare occasioni di incontro fra generazioni per uno scambio e un intreccio di esperienze e valori condivisi”. Perché la frattura generazionale esiste: “i giovani si sentono spesso visti come problema; dobbiamo valorizzarli come interlocutori”. Il passo successivo, a conclusione del convegno, potrebbe essere la richiesta ad ogni associazione di “dare vita sul proprio territorio ad un percorso formativo che tenga conto delle diverse esperienze, sensibilità e culture, anche mediante forme di comunicazione più congeniali ai ragazzi e magari spazi autogestiti da loro”.
Strumenti di comprensione. Secondo Ricci, “i giovani hanno fragilità e incertezze, ma non sono superficiali; hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a cogliere la bellezza e il valore dell’affettività e della sessualità. Paradossalmente, proprio i ‘nostri’, che vivono in uno spazio più ‘protetto’, condividendo l’impostazione associativa o almeno avendo davanti a sé valori e principi dell’etica cristiana, non riescono più ad interagirvi, risucchiati da una cultura dell’indifferenza, del dominio e del possesso, che offusca la loro visione d’insieme”. Un disorientamento che nasce dall’essere privi di “strumenti per decodificare questa cultura maggioritaria”. L’invito è a non incartarsi nelle “solite analisi, spesso catastrofiste”, bensì ad “andare oltre le operazioni di decostruzione proponendo letture ed esperienze positive”. È vero che la formazione dovrebbe iniziare in tenerissima età come educazione ai sentimenti, alla “maturazione dell’idea di legame in cui la sessualità non è disgiunta dall’affettività, ma spesso la famiglia non ne è in grado. Per questo bisogna agire laddove è possibile, anche lanciando salvagenti nel mare in tempesta”. Il problema, insiste, “è offrire strumenti di comprensione, cosa non semplice in un sistema nel quale si fronteggiano una cultura dominante e una minoritaria, ma noi cattolici, cultura di minoranza, non possiamo farci divorare dalla prima né accontentarci di sopravvivere come in una riserva indiana. Nostro compito è trovare parole e linguaggi nuovi, sia per interagire con la cultura preminente, sia per consegnare ai giovani strumenti e orizzonti di senso contro ogni tentativo di omologarli al ‘pensiero unico’”.
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