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Una testarda volontà

Di Paolo Bustaffa

Ci sarebbe da scoraggiarsi e lasciare il campo se non ci fosse una testarda volontà di credere che l’uomo non può e non deve essere sconfitto dal male, dalla violenza, dalla menzogna.
In Calabria le cosche mafiose, dopo averlo ucciso, invitano a dimenticare il piccolo Cocò; a Pisa un immigrato ne uccide un altro con un pugno e fugge; i centri storici delle città messi ancora a rischio dalla violenza; la vergogna degli enormi squilibri degli stipendi; i suicidi di ragazzi vittime di coetanei dediti al cyberbullismo…
Ci sarebbe da scoraggiarsi e lasciare il campo se non fosse per quello stare in mezzo alla gente che consente di scoprire quanta umanità, quanta solidarietà, quanta speranza esistono anche oggi nel nostro Paese.
Ci sarebbe da scoraggiarsi e lasciare il campo se non fosse per la consapevolezza che occorre sempre raccontare, dopo averli colti nei fatti e nei volti, i segni di un abbraccio e non solo i segni di un pugno.
L’accoglienza dei profughi, quasi dimenticati dopo l’ondata emotiva, in molte comunità cristiane, le innumerevoli iniziative di solidarietà in corso nelle diocesi per le persone e le famiglie messe in difficoltà dalla crisi economica, le case per gli ultimi che lottano per restare aperte nonostante la carenza di risorse, il volontariato che accompagna le persone in fine-vita e le loro famiglie…
Ci sarebbe da scoraggiarsi e lasciare il campo se non si avvertisse la presenza silenziosa ma non inespressiva di un’opinione pubblica che ha il diritto ad avere notizia dell’onestà di tante persone che ogni giorno lavorano con profondo senso di responsabilità professionale e sociale.
C’è un’infinità di persone ignorata in nome di una professionalità mediatica spesso autoreferenziale e lontana dalla realtà.
È “professionale” ignorare centinaia di giovani del Movimento studenti di Azione cattolica che si preoccupano dell’abbandono scolastico di loro coetanei? È “professionale” ignorare centinaia di doposcuola nelle parrocchie, e nei loro oratori, per aiutare bambini, anche immigrati e non cristiani, a superare molteplici difficoltà di apprendimento? È “professionale” ignorare l’impegno educativo e formativo di associazioni, movimenti e gruppi che accompagnano le nuove generazioni nella loro crescita spirituale, morale, culturale e civile?
Non basta, tuttavia, porre domande ai media quasi fossero gli unici responsabili di una mentalità triste, pessimista e generatrice di indifferenza.
È una questione che riguarda il primato della coscienza in una cultura in grande misura modellata dall’irruzione mediatica nelle case.
Non si migliorano i media con il dito puntato contro di essi e neppure si migliora l’opinione pubblica assolvendola da ogni responsabilità.
Guardando la realtà occorre piuttosto risvegliare la coscienza perché il male, avvalendosi di qualsiasi strumento e di qualsiasi occasione, approfitta del sonno della coscienza per creare pregiudizi, disorientamento, pessimismo o indifferenza.
Ci sarebbe da scoraggiarsi e lasciare il campo se non si avvertisse che la coscienza non è spenta in gran parte della nostra gente che di fronte al doloroso e triste scambio di embrioni all’ospedale Pertini di Roma si rende conto dell’immane rischio a cui la vita umana e la dignità della persona sono sottoposte.
Ed è proprio quest’ultima vicenda a dire che solo una coscienza vigile, libera dalle ideologie, illuminata dalla dignità della persona e dall’inviolabilità della vita umana in ogni sua stagione, può aiutare i media a dare sostanza al loro primo compito che è quello di contribuire alla ricerca della verità e alla costruzione del bene comune.
Non deve mancare, nella diversità dei compiti, la comune testarda volontà di aiutare la coscienza ad uscire da un’eclissi che dura da troppo tempo.

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