In italiano, il tweet citato suona: “Diciamo sempre grazie a Dio, anzitutto per la sua pazienza e misericordia”. Una frase semplice, che però pochi nostri connazionali avrebbero letto, se fosse stata racchiusa nelle pagine di un libro. Nello stesso giorno, infatti, in cui i media danno la notizia del successo planetario del “Papa in latino”, l’Istat rendo noto che quasi sei nostri concittadini su dieci non leggono libri. Un record davvero desolante, soprattutto se si tiene conto di altri record, di segno diametralmente opposto, che gli abitanti del Bel Paese detengono in materia di utilizzo di smartphone e tablet, rispetto agli altri concittadini d’Europa. Basti pensare alle file nei negozi specializzati, quando si tratta di aggiudicarsi i nuovi modelli di cellulari di ultimissima generazione. Alla faccia della crisi: in questo campo sì, che sappiamo essere all’avanguardia… Altro che “latinorum”, come direbbe il Renzo Tramaglino di manzoniana memoria.
Il latino, per noi stirpe italica, ha a che fare con le nostre radici e con la memoria. Se poi è associato con il messaggio universale del magistero del Papa, diventa un’immagine plastica della “cattolicità” della Chiesa, che si riconosce universale nella comune matrice della propria lingua sorgiva.
In una lettera pubblicata di recente tra le pagine di un popolare settimanale, Umberto Eco scrive al suo nipotino, nativo digitale e “mago” della navigazione in rete come tutti i suoi coetanei, una lettera dispensatrice di saggi consigli che si conclude così: “Altri tuoi amici, che non avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto una sola vita, la loro, che dovrebbe essere stata assai malinconica e povera di grandi emozioni”. La memoria non è un retaggio del passato, ma nutrimento del presente per capire il futuro: la si esercita tenendo vivo, o magari scoprendo, il latino. E abitando i libri.