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Il ponte poliglotta sul lago Poyang

Il ponticello secolare riemerso dalle acque del lago Poyang, nella provincia cinese di Jiangxi, è a suo modo “un segno dei tempi”.
Il vastissimo specchio d’acqua, che un tempo raggiungeva i 4.500 chilometri quadrati ed era solcato da imbarcazioni di ogni genere, è ora ridotto a un terzo delle sue dimensioni originarie: la significativa diminuzione delle piogge, l’alterazione delle temperature medie e, forse più ancora, la recente realizzazione della gigantesca diga delle Tre gole (alta oltre 2 chilometri sbarra il Fiume Azzurro, Yangtze, formando uno dei bacini artificiali più grandi del pianeta), hanno mutato profondamente l’equilibrio geografico e ambientale della regione.
Così le acque dolci del Poyang sono arretrate, fino a restituirci un ponte, più simile a un attraversamento pedonale, lungo circa 3 chilometri, in legno e granito, che gli esperti hanno datato all’era Ming, collocandone la realizzazione attorno al 1600.
Tutta questa vasta area dell’antico impero cinese deve assomigliare ben poco a quella che appariva agli occhi del Celeste Imperatore: la realizzazione della diga e il cambiamento climatico acceleratosi nel XX e XXI secolo hanno obbligato il trasferimento di un milione di persone, mutato gli equilibri demografici e sociali, trasformato il patrimonio florofaunistico e l’attività agricola ed economica.
È vero: la diga consentirà di produrre energia idroelettrica “pulita”, evitando di bruciare altro carbone e di produrre ulteriore smog in una Cina che già resta senza fiato per l’inquinamento che attanaglia le grandi città.
Ma è anche vero che il volto di un’area grande come la Sicilia è stato irrimediabilmente sfigurato, e con esso la sua gente, la sua identità, la sua storia.
Storia che, però, torna a bussare alla porta della modernità, ripresentando il ponte di pietra costruito a forza di braccia dai pescatori e dai contadini del ‘600 cinese.
Quello stesso ponte (la cui nuova vita è stata non a caso narrata dai siti meteo di tutto il mondo) oggi ricorda alla Cina e all’intera umanità che del Creato occorre avere rispetto; che l’ambiente non va piegato agli interessi umani ma utilizzato con rispetto per il bene della stessa umanità; che l’acqua – i fiumi, i laghi, i mari – è una ricchezza, non meno dell’energia elettrica…
I ponti notoriamente servono per collegare due sponde; idealmente mettono “in relazione”, promuovono unità. Il ponte di Poyang unisce il passato al presente, i Ming e la Cina comunista avviata sulla strada del capitalismo più sfrenato. E soprattutto lancia un monito: un futuro “sostenibile”, sotto ogni profilo, si costruisce solo nel rispetto della storia e del presente. Messaggio, questo, che travalica i confini cinesi e che parla la stessa lingua a Pechino come a New York (assediata dal gelo e dalle tormente di neve, figlie anch’esse del cambiamento climatico), a Roma fino a Kathmandu.
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