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Il porno corre sui social

Di Alberto Campaleoni
Un episodio insolito e una scuola che funziona. Succede a Roma, dove in una scuola media si è diffuso rapidamente, tra gli studenti, un filmato pornografico diffuso via WhatsApp, il sistema di messaggistica più usato tra i ragazzini: è gratis, facile da usare, ti fa sentire sempre connesso con gli amici.
Il problema nasce quando una ragazzina riceve da una sua cugina più grande, forse per scherzo, il filmato hard e seguendo una dinamica tipica lo condivide con i compagni di classe: tutti nel medesimo gruppo di WhatsApp. Quello, per intenderci, che molti usano per scambiarsi i compiti, le informazioni quotidiane, gli appuntamenti della giornata… È un attimo, e tutti possono vedere il filmino, che naturalmente non è proprio “innocuo” per ragazzini e ragazzine in un’età particolarmente difficile.
Qualche genitore se ne accorge, la scuola “alza le orecchie” e comincia a fare la sua parte. Anzitutto cerca di capire cosa è successo – fuori dalla scuola, peraltro, e sui telefonini degli allievi, che certo non può controllare – e poi attiva le risorse che ha a disposizione: convoca con discrezione le famiglie degli studenti coinvolti e mette in campo lo psicologo che segue lo sportello permanente, un punto di ascolto in funzione tutto l’anno e al quale i ragazzi, previo parere favorevole dei genitori, possono rivolgersi per parlare dei propri problemi. È un’iniziativa che esiste in molti istituti, in chiave preventiva e si dimostra spesso utile anche perché tante volte i genitori faticano a capire cosa succede ai propri ragazzi. Uno sguardo esterno e, soprattutto, competente, può aiutare grandi e piccoli.
Due le riflessioni. La prima riguarda la grande fragilità dei meccanismi di “tutela” dei nostri ragazzi, spesso esposti a venti di ogni genere. Basta un messaggino, un “clic” che sembra quotidianamente innocuo per catapultare i nostri ragazzini in un mondo di emozioni e inquietudini non facili da gestire. Il messaggio agli adulti è quello di una cauta vigilanza, che lascia sì crescere in autonomia e, nello stesso tempo, accompagna con discrezione lo sviluppo degli adolescenti.
La seconda riflessione va fatta sulla scuola. Lì dove funziona l’attenzione educativa c’è l’opportunità di raccogliere anche le esperienze difficili, i momenti critici – come nel caso accaduto a Roma – per trasformarli in occasioni di crescita. Insegnanti e adulti che non hanno paura di fare la loro parte: nel caso romano tutto era accaduto fuori dalle aule, eppure l’istituzione ha avvertito pienamente la propria responsabilità. Insegnanti e adulti che provano – anche – ad agire insieme, scuola e famiglia: genitori che portano le loro inquietudini e chiedono aiuto, insegnanti che si confrontano e cercano strade di recupero. Al centro loro, i ragazzi, in questo modo accuditi. Non come bamboccioni inconsapevoli, ma come soggetti da valorizzare e avviare su percorsi – guidati strategicamente – di maggiore consapevolezza.
La vicenda accaduta a Roma è particolare, ma non isolata. Sono molte, infatti, le scuole che agiscono con attenzione e cura, nonostante l’immaginario collettivo sia pronto a dare addosso all’istituzione. Ne viene un invito ad avere fiducia, un incoraggiamento per tutti quanti si occupano di educazione.
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