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Autunno freddo piazze troppo calde

Di Francesco Bonini
Si è insinuato (in rete) addirittura un vecchio volantino delle “nuove Br”: ha preceduto un’improvvisa fiammata di violenza metropolitana che qualche giorno fa ha percorso Roma. Piccoli gruppi militarizzati hanno attraversato il centro cittadino, seminando disordine con tecniche da guerriglia urbana, con ripercussioni su tutta la città, quasi a mandare un messaggio. Un messaggio esplicitamente collegato con i presidi permanenti in Val di Susa, come se la sigla No Tav possa rappresentare un collante per saldare il mondo dell’antagonismo con possibili sussulti di protesta sociale, in questo ulteriore inverno di crisi. E tentare se non di occupare, perché si tratta pur sempre di esigue minoranze, quantomeno di percorrere la piazza.
Una piazza, le nostre piazze, che, prima d’illuminarsi per Natale, sono segnate dal disagio sociale. A Genova la vertenza della locale azienda trasporti, chiusa non senza difficoltà dopo giorni di gravissimi disagi, ha mostrato la durezza dei problemi di sostenibilità dei bilanci che stanno ovunque venendo al pettine. Per non parlare delle centinaia di vertenze per sopravvivenza di molti siti produttivi, aperte nei più diversi comparti e dei presidi dei lavoratori che non vogliono che siano dimenticate o sottovalutate.
Ecco, allora, un duplice messaggio che viene dalle piazze di questo autunno freddo. Il primo è che non si possono sottovalutare gli elementi di tensione, e i disegni di quei piccoli gruppi che, collegando antichi residui e nuovi slogan, ogni tanto vengono a galla ed esplodono in violenza. Sarà tanto più facile isolare e reprimere questi elementi, quanto si prenderà sempre più seriamente il problema dei costi della crisi e delle prospettive sociali da offrire a ceti e generazioni che oggi sembrano destinati a un’emarginazione di fatto. È un passaggio arduo, perché le categorie del discorso politico, ma alla radice proprio dell’economia, non sembrano ancora adeguate.
Tuttavia, paradossalmente, il rovescio della medaglia è che proprio l’esperienza della crisi, che ormai si protrae da diversi anni, sta cominciando a fare emergere, oltre alla frustrazione, al disagio, alla protesta, un atteggiamento nuovo. Crescono i motivi di preoccupazione. Ma diventa altrettanto evidente che occorre invertire la tendenza. In tutte le società sottoposte allo stress di un’esperienza di decadenza tendenziale, che in molti stanno oggi avvertendo in Italia, necessariamente si pone la questione di ripartire e, dunque, una disponibilità nuova.
Questa prospettiva, tuttavia, per ora è solo tendenziale: c’è bisogno di adeguati interpreti e investimenti etici e sociali, non facili, anche se necessari e in prospettiva assai remunerativi. La china resta ancora negativa, con tutte le incognite che ne derivano. Così può apparire ancora conveniente a qualcuno speculare appunto sulla crisi, sul disagio, sulla protesta. E cercare di trarne vantaggi a breve. Così continuando ad avvitarsi.
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