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Cristiani in Pakistan

Di ACS

PAKISTAN – «La domenica dopo l’attentato suicida, le chiese erano piene. I cristiani pachistani hanno sì paura, ma non perdono la loro fede». Così monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, ha raccontato il coraggio dei suoi fedeli a margine della conferenza “Vittime della legge nera-La libertà religiosa in Pakistan”, organizzata da Aiuto alla Chiesa che Soffre in collaborazione con la Pontificia Università della Santa Croce. L’incontro è stato aperto dai saluti del professor Norberto González Gaitano, docente di Opinione Pubblica presso la Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale dell’Università della Santa Croce. Poi il direttore di ACS-Italia, di Massimo Ilardo, ha ricordato lo storico impegno della fondazione pontificia nella tutela della libertà religiosa, e presentato alcuni esempi di paesi in cui essa è negata o limitata, quali Cina, Eritrea e Corea del Nord.

Monsignor Coutts ha approfondito le drammatiche conseguenze della legge sulla blasfemia: norma introdotta dal dittatore Zia-ul-Haq nel 1986, che punisce con l’ergastolo chiunque profani il Corano e condanna a morte chi insulta il profeta Maometto. «Anche se è nata per proteggere l’onore del Profeta Maometto e impedire dissacrazioni del Corano – ha spiegato il presule – questa legge può essere facilmente usata in modo improprio. È infatti molto facile per un musulmano accusare chiunque di blasfemia, perfino un altro musulmano». Seppure la maggior parte delle accuse sono infondate, la cosiddetta legge nera rappresenta un potente strumento per ritorsioni personali. Un’arma particolarmente efficace se la persona contro la quale si punta il dito è un cristiano. Non è richiesta alcuna prova a sostegno dell’accusa formulata ed il presunto bestemmiatore viene immediatamente incarcerato. «Diventa molto difficile per la persona accusata provare la propria innocenza – ha continuato– e quando le emozioni della gente, incitata dai locali leader islamici, prendono il sopravvento possono scatenarsi veri e propri massacri». Come accaduto a Gojra, nel 2009, dopo che dei bambini avevano trasformato dei vecchi fogli di giornale in coriandoli per festeggiare un matrimonio. Su quelle pagine erano stati trascritti dei versetti del Corano e così una folla di centinaia di persone inferocite, a caccia del blasfemo, hanno appiccato il fuoco a quasi cento case. Otto persone sono morte tra le fiamme.

Dall’entrata in vigore della legge fino alla metà del 2011 si contano ben 1081 accuse di blasfemia. «La legge sulla blasfemia rappresenta uno degli elementi tragici del sistema giuridico internazionale», ha affermato Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di Comunione e Liberazione. Tuttavia la “legge nera” non è l’unica causa di sofferenza per la piccola minoranza cristiana pachistana. «I non musulmani sono considerati cittadini di seconda classe – ha aggiunto monsignor Coutts – e sono discriminati in molti modi, specie in ambito lavorativo o scolastico. Nelle scuole statali, gli alunni non

musulmani sono penalizzati negli studi e non è insolito che agli studenti sia assegnato un tema dal titolo: “Invita un tuo amico non musulmano a convertirsi all’Islam”».

In Pakistan i cristiani soffrono anche a causa dell’identificazione cristianesimo-occidente: un’idea nata durante la guerra in Afghanistan e alimentata dalla caccia al terrorismo del dopo 11 settembre. «La presenza delle forze NATO in Afghanistan fu percepita come un attacco cristiano ad un paese musulmano. Ed i cristiani pachistani furono ritenuti agenti dell’occidente cristiano e quindi nemici dell’Islam». Monsignor Coutts ha spiegato come questa mentalità abbia innescato il recente attentato alla Chiesa di Peshawar, perpetrato dal gruppo Jundullah, una cellula in seno al Tehrik-e-Taliban Pakistan, convinti di poter convincere Washington ad interrompere le missioni dei droni sul territorio pachistano. «Il loro messaggio è chiaro: “Dite agli Stati Uniti di cessare gli attacchi di droni oppure noi attaccheremo altre chiese in Pakistan”».

Il professor José T. Martín de Agar, docente della Facoltà di Diritto Canonico dell’Università Santa Croce, ha poi approfondito i fondamenti della libertà religiosa nel Magistero della Chiesa. «L’importanza della libertà religiosa tra i diritti umani non sarà mai sottolineata abbastanza», ha detto ricordando le parole di Giovanni Paolo II che definì la libertà religiosa “il cuore stesso dei diritti umani”. «In rapporto al Pakistan– ha aggiunto – i nostri paesi sembrano più tranquilli, tuttavia non mancano insidie per la libertà religiosa. E non sono poche le iniziative che cercano di relegare la libertà di religione in ambito privato».

“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2012 ha raccolto oltre 90 milioni di euro nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.604 progetti in 140 nazioni.

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