lamannaDi Patrizia Caiffa

La preghiera di oggi e la visita privata del Papa al Centro Astalli di Roma sono collegate, in una continuità di azione e di contenuti che ha preso il via con il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa l’8 luglio. Ci tiene a sottolinearlo padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia. Papa Francesco giungerà alla mensa del Centro Astalli nel pomeriggio, quando circa 400 richiedenti asilo e rifugiati sono in fila per poter consumare un pasto caldo. Saluterà i rifugiati e s’intratterrà con alcuni di loro. Poi si recherà nella Chiesa del Gesù, dov’è la tomba di padre Pedro Arrupe, fondatore del servizio dei gesuiti per i rifugiati. Ad accoglierlo troverà i rifugiati che vivono nei quattro centri d’accoglienza, che studiano alla scuola d’italiano, gli utenti dello sportello socio-legale e dell’ambulatorio e i volontari. Una visita che “non vuole essere e non sarà uno spettacolo”, ribadisce padre La Manna.

La Siria e i rifugiati: un legame voluto?
“Il Papa è preoccupato per situazioni indegne come quelle della Siria e di Lampedusa. Ora ci chiede di pregare e digiunare per la pace in Siria perché la comunità internazionale capisca che le guerre non si risolvono con i bombardamenti. Si sceglie d’intervenire con il pretesto che sono state usate armi chimiche ma non ci rendiamo conto che già sono state uccise in altri modi oltre 100mila persone. Vuol dire che siamo dei farisei. Nel percorso che il Papa percorre in prima persona, come testimone autentico e credibile, s’inserisce il desiderio d’incontrare i rifugiati, che sono proprio le persone costrette da guerre e persecuzioni a fuggire dal loro Paese”.

Ci saranno anche richiedenti asilo o rifugiati siriani?
“Sì, perché gli ultimi sbarchi a Lampedusa e in Sicilia sono tutti composti da siriani. Quelli sono i luoghi di primo approdo, poi le persone si spostano perché sanno che chi li ha preceduti ha trovato a Roma un minimo di accoglienza. Al Centro vengono siriani, egiziani, afgani, eritrei, somali. Persone che fuggono da tutte quelle situazioni indegne che facciamo finta di non vedere. Però non possiamo prevedere ora quali nazionalità ci saranno il 10 settembre. Perché se quel giorno passa un flusso di ragazzi afgani diretti in Nord Europa, il Papa troverà molti di loro”.

I siriani avranno la possibilità di raccontare al Papa i loro vissuti?
“Non lo posso escludere, però non prepareremo nulla prima. Vogliamo far vivere al Papa la quotidianità del Centro Astalli. Incontrerà i rifugiati così come li incontriamo noi. Senza spettacolo, come se fosse un giorno qualunque. C’è molta attesa, molti vogliono parlargli. Favoriremo l’incontro. Così come sul molo a Lampedusa alcuni hanno incontrato il Papa, noi daremo la stessa possibilità. Questa volta gli ultimi – che per noi non sono mai stati ultimi – saranno i primi”.

Come si svolgerà la visita?
“Quel giorno accoglieremo gli ospiti con più entusiasmo e l’impegno sarà quello di sempre, ma con uno stato d’animo e una contentezza diversa, che favorirà sicuramente l’incontro. Il Papa percorrerà i locali della mensa, quindi incontrerà i richiedenti asilo che parleranno con l’operatrice legale, i volontari che distribuiscono cibo, i medici che visitano. Noi dobbiamo solo continuare normalmente il nostro servizio”.

Perché la visita privata?
“In parte perché rientra nello stile di Papa Francesco. Poi non dobbiamo dimenticare che i richiedenti asilo e rifugiati sono persone che scappano da guerre e persecuzioni, quindi rischiano ritorsioni. Quando vedono giornalisti, fotografi e telecamere hanno paura. In questo modo rispettiamo il desiderio del Papa e quello dei rifugiati”.

Questo appuntamento segue, in continuità ideale, l’evento storico di Lampedusa…
“Molti pensano che dopo quello che è successo a Lampedusa si possa tranquillamente tornare nell’indifferenza. Ma l’indifferenza viene rotta quando la coscienza è sollecitata quotidianamente da situazioni, incontri, notizie. Papa Francesco sta dando questa continuità. Il Papa rivolge a tutta la Chiesa l’invito pressante ad andare nelle periferie, nei luoghi di frontiera. Se abbiamo funzionato in un certo modo fino ad oggi, ora dobbiamo capire che qualcosa sta cambiando. E realizzare che questa trasformazione ci richiede di compiere dei passi nuovi. Serve del tempo, però è importante che ci siano testimoni autorevoli e credibili come il Papa, che testimoniano con i fatti, in prima persona, che si può camminare in maniera diversa”.

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