Paolo Bustaffa

“Davvero in questo momento così decisivo ci si rende conto che la preghiera è il livello più profondo della vera politica”. In una non lontana stagione che vedeva il nostro Paese in affanno politico e istituzionale Giuseppe Cacciami, un maestro del giornalismo cattolico italiano, chiudeva con queste parole la sua lettera a un amico.
Chiamare in campo la preghiera mentre una crisi dai molti aggettivi porta a ben altri pensieri può apparire del tutto fuori luogo e fuori tempo. C’è il rischio di un indebito e ingenuo mescolamento di dimensioni ed esperienze. Le perplessità sono legittime e comprensibili.
Le parole di Giuseppe Cacciami, anche oggi attuali, non intendono però sorvolare i dubbi e neppure vogliono rimanere estranee alle riflessioni degli analisti e dei commentatori politici.
Non c’è la volontà di prendere le distanze da una realtà problematica e in mutazione, c’è il desiderio di aiutarla a prendere quota liberandola dai lacci del basso profilo e del piccolo cabotaggio.
L’impresa è difficile: anche la gente del quotidiano prende atto dell’asperità della china da risalire mentre è in preoccupata attesa di risposte efficaci e rapide.
La comunità cristiana, fatta dalla gente del quotidiano, sa bene che la politica e le istituzioni hanno bisogno di riforme ma nello stesso tempo sente che c’è qualcosa di “specifico” che il vivere e pensare la fede devono offrire perché un’impresa difficile non si trasformi in un’impresa impossibile.
Di questi sentimenti c’è espressione ogni domenica quando nelle chiese l’assemblea risponde all’invito a pregare per chi ha responsabilità politiche, di governo, di costruzione del bene comune e di raggiungimento della giustizia.
Solo un osservatore frettoloso potrebbe ritenere che si tratti di formule ripetitive alle quali la gente è chiamata a rispondere meccanicamente. Non è così, quelle persone vivono sulla propria pelle la difficoltà e il disagio e hanno fiducia nella forza della preghiera perché l’hanno sperimentata e la sperimentano nella fatica di ogni giorno.
C’è poi la storia a richiamare un percorso sul quale uomini e donne hanno testimoniato, con la loro fede e con la loro intelligenza, che imprese ritenute umanamente impossibili sono state rese possibili e quindi sono state realizzate.
Quanta preghiera queste persone hanno messo nel loro impegno di costruttori di solidarietà e speranza? E i politici, con le loro specifiche competenze, non dovrebbero essere tra questi? E la comunità cristiana non dovrebbe prendere maggior coscienza della propria responsabilità a cominciare proprio dall’approfondire il significato del pregare per la politica e i politici?
Non è importante dare, con linguaggio laico, un segnale all’esterno sul rapporto tra preghiera e politica, non per convincere o convertire ma per aprire altri spazi di pensiero accanto a quelli degli esperti e degli addetti ai lavori?
Si potrà prendere e far prendere consapevolezza che la politica ha bisogno anche della preghiera per ritrovare se stessa e crescere nella sua specifica vocazione al servizio?
Non esiste una cattedra per le risposte. Esistono uomini e donne che vivono l’impegno politico come forma esigente di carità ben consapevoli che questa scelta non regge senza un fondamento interiore e senza il sostegno orante di una comunità.
“Davvero in questo momento così decisivo ci si rende conto che la preghiera è il livello più profondo della vera politica”: Giuseppe Cacciami non a caso nella lettera all’amico si ferma a questo punto. Sa che un giornalista, per la fiducia che ha nell’intelligenza del lettore, non deve aggiungere altro.

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