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Campagna elettorale, tasse e lotta all’evasione, ma anche crisi e lavoro, guardando pure al di là dei confini nazionali

ITALIA – Campagna elettorale, tasse e lotta all’evasione, ma anche crisi e lavoro, guardando pure al di là dei confini nazionali. Sono alcuni dei temi che vedranno impegnato il nostro Paese nel 2013. All’inizio del nuovo anno Francesco Rossi per il Sir ne parla con Sergio Belardinelli, docente di sociologia dei processi culturali e sociologia politica all’Università di Bologna.

L’ultimo rapporto del Censis parla, per il 2012, di un’Italia “alla prova della sopravvivenza”. Quali attese per il 2013?
“Credo che quest’anno sarà ancora difficile, si acuiranno gran parte di quei problemi che ci hanno assillato nel 2012. Ma all’orizzonte s’intravedono pure segnali che fanno pensare che la crisi possa essere superata e, per certi versi, trasformata in un’opportunità. Alcune storture di tipo istituzionale, culturale, politico che gravano sul nostro Paese si sono ormai manifestate con una virulenza tale da rendere opinione comune la necessità di cambiare. Non possiamo restare a lungo con un certo assetto istituzionale, con l’attuale dialettica e cultura sociopolitica. Ci attende un sussulto di responsabilità”.

Tra i temi dell’anno passato vi sono l’appello al recupero della sobrietà e la lotta all’evasione. Al riguardo, pensa che stia cambiando la cultura del nostro Paese?
“Sì, qualche segnale si vede. È ormai largamente diffusa l’idea che l’evasione fiscale è una patologia sociale. Se fino a ieri chi non pagava le tasse era considerato un ‘furbo’ da ammirare, ora l’aria è notevolmente cambiata e questa è un buona premessa per condurre una lotta vera. Un Paese civile non può permettersi un livello di evasione come quello dell’Italia, dove peraltro questo non è neppure il problema principale…”.

Ossia?
“Il primo problema è dato dal funzionamento degli assetti istituzionali, che necessitano di un cambiamento radicale. La macchina è troppo farraginosa. L’evasione fiscale è un problema serio, ma per combatterla serve uno Stato efficiente. L’aspetto istituzionale è decisivo e al suo fianco vi è quello culturale, con una politica più attenta ai problemi veri del Paese. Aggiungo che ci vuole una maggiore attenzione al patrimonio culturale e paesaggistico, risorsa preziosa, con un valore assoluto, non solo economico”.

A proposito di cultura politica, nel 2013 ci attendono le elezioni. Sembra che la formazione del consenso passi anche dalle nuove tecnologie e dai social network. È, questo, il futuro della politica o invece rischia di portare solo a slogan, tralasciando argomentazioni più approfondite?
“Facebook, Twitter e le altre piattaforme sono utili per la divulgazione e la comunicazione politica. Piuttosto, non so quanto in Italia verranno utilizzate a questo scopo: al momento, salvo una formazione che è al di fuori degli schemi tradizionali, le forze politiche non ne fanno un uso massiccio. Usarle di più non sarebbe male; attenzione, però, perché il linguaggio della rete tende a semplificare, mentre la buona politica non ci guadagna semplificando oltre un certo limite. Non vorrei che, a forza di usare slogan, si giungesse al vuoto del messaggio politico”.

C’è dunque da diffidare di slogan e promesse elettorali…
“Nella prossima campagna elettorale non ci sarà spazio per grandi promesse elettorali, non fosse altro per il differenziarsi da precedenti campagne elettorali e vista la durezza della situazione e i sacrifici ancora da fare. Come cittadini elettori non possiamo che tenere gli occhi aperti e valutare in maniera seria, favorendo l’emergere di una nuova cultura politica, non più levantina o mediatica, ma capace di garantire il governo del Paese”.

Nel 2012 abbiamo avuto il problema degli esodati; ora sembra che tanti contratti a termine potrebbero non essere rinnovati e i precari aumentare le fila dei disoccupati. L’anno nero per il lavoro ce lo siamo lasciati alle spalle o no?
“Sul lavoro il peggio deve ancora venire, ma c’è anche una speranza. Vedo che si va diffondendo la consapevolezza che non possiamo rimanere con le rigidità che contraddistinguono oggi il mercato del lavoro. Non possiamo lasciarci condizionare da un’ideologia per la quale tutto deve restare com’è, ma al contrario stimolare le energie attive. Il lavoro non viene dall’alto, ma dal desiderio e dalla capacità che i cittadini hanno d’intraprendere. Il peggio, dicevo, deve ancora venire, ma bisogna farne tesoro per cambiare rotta e chiunque ha una responsabilità sociale deve farsi carico di questo cambiamento”.

Il progetto culturale della Cei, nel suo recente Forum, si è concentrato sui processi di mondializzazione. A livello globale, quali prospettive ha il nostro Paese nel 2013?
“Se noi riflettessimo su scala globale ci accorgeremmo del grande privilegio che abbiamo come Italia, sia per la ricchezza del paesaggio, sia per la capacità d’adattamento e d’intrapresa del nostro popolo. Nei momenti più difficili sappiamo dare il meglio di noi stessi e questo, nel mondo globale, può essere la carta vincente”.

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