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Campi Rom

ITALIA – Torino è sempre stata una città accogliente e solidale, ma vedervi qui, in questa vostra condizione, è come vedere rappresentato uno schiaffo alla città. Con il Natale sappiamo che non siamo soli: Dio è con noi, perciò dobbiamo avere fiducia e speranza”. Con queste parole l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, si è rivolto stamane ad alcune famiglie rom che vivono in uno dei campi abusivi che attorniano le periferie del capoluogo piemontese.

Continuare a sperare. L’arcivescovo, come ogni anno, durante le festività natalizie, si è recato in visita a uno dei campi nomadi della città, per “rendersi conto della situazione”. Questa volta è toccato all’insediamento di corso Tazzoli, alla periferia sud della capoluogo, dove vivono accampate in una condizione di estremo disagio circa 220 persone originarie della Romania. “Anche se sappiamo che i problemi esistono, bisogna continuare ad avere speranza e fiducia – ha ricordato mons. Nosiglia, pregando con loro nella piccola chiesetta del campo -. Torino ha le risorse per affrontare e rimediare a questa vostra situazione: non solo a parole, ma con i fatti. Perché è arrivato il momento delle scelte concrete”.

L’ascolto che cambia. Mons. Nosiglia ha chiesto direttamente agli abitanti quali siano i loro problemi. Acqua, luce, raccolta dei rifiuti, fognature: queste le richieste che sono arrivate all’orecchio dell’arcivescovo da parte delle famiglie che vivono nel campo. “Mi farò carico di portare queste vostre istanze agli amministratori della città. È una buona notizia che i fondi europei per l’emergenza nomadi siano stati sbloccati – ha sottolineato l’arcivescovo, facendo riferimento ai cinque milioni di euro recentemente stanziati attraverso un accordo tra Comune e Prefettura -. Bisognerà fare il possibile affinché siano usati nel migliore dei modi, per affrontare le attese e le richieste del vostro popolo”.

Popoli diversi, figli dello stesso Dio. L’arcivescovo, dopo aver pregato con loro, ha consegnato a ciascuna famiglia del campo una copia, in italiano e in romeno, della sua lettera pastorale dedicata al popolo rom e sinti: “Non stranieri. Ma concittadini e familiari di Dio ”. Nella lettera l’arcivescovo si rivolgeva ai rom: “Abbiate fiducia nella possibilità di dare un’istruzione, una casa, un lavoro ai vostri figli! Abbiate fiducia di avere un posto migliore tra noi, nella nostra città e nei nostri paesi. Abbiate fiducia di poter essere amici di noi non rom e non sinti, ma tutti figli dello stesso Dio, che è Padre di tutti”. Lo stesso messaggio che un capofamiglia della comunità ha lasciato a mons. Nosiglia, accogliendolo all’ingresso del campo: “Non c’è un Dio degli italiani e un Dio dei rom, Dio è di tutti”.

Famiglie adottano famiglie. Nella sua lettera l’arcivescovo faceva appello alle istituzioni chiedendo di “non confinare i nomadi in un ghetto culturale”, e lanciava alla comunità cristiana una proposta: “adottare nell’amicizia fraterna una famiglia rom o una famiglia sinta”, per “accompagnare amichevolmente, fraternamente, una famiglia a trovare casa, ad avviarsi al lavoro, a superare le difficoltà con la scuola, a farsi curare quando è necessario, a condividere le gioie e i dolori della vita”. Un appello accolto proprio nel campo di corso Tazzoli, dove alcune famiglie italiane, in collaborazione delle parrocchie della zona, hanno adottato altrettante famiglie del campo.

Lavorare uniti. “Se tutti lavoriamo insieme, convinti che ce la si possa fare, allora si può fare davvero qualcosa per migliorare le condizioni di vita di queste persone”, ha rimarcato don Fredo Olivero, della Ufficio per la pastorale dei migranti della diocesi di Torino. “È fondamentale l’impegno e il coinvolgimento delle famiglie, oltre che delle associazioni e del volontariato: questo campo, rispetto ad altri della città, dove i problemi sono più evidenti e acuti, ne è la dimostrazione. Con l’impegno delle associazioni, del quartiere, delle parrocchie della zona, e di alcune famiglie italiane che hanno adottato alcune famiglie del campo si è riusciti a fare in modo di attenuare il disagio, e soprattutto a raggiungere l’obbiettivo fondamentale di avere l’80 per cento dei bambini che vanno a scuola e frequentano un doposcuola organizzato dai volontari. Ora tocca alle istituzioni – conclude don Olivero – fare qualcosa”.

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