ITALIA – Con il mese di settembre ripartono le attività scolastiche e per molte realtà ecclesiali questo mese rappresenta l’inizio di un nuovo anno. Sacerdoti, catechisti, insegnanti di religione e altre persone che lavorano nel campo dell’evangelizzazione si porranno un quesito fondamentale: “Come annuncerò alle persone che ho davanti la fede in Gesù?”.

Probabilmente la tentazione è quella di rispondersi cercando modi per catturare l’attenzione dei nostri interlocutori, vogliamo cercare strategie per renderci simpatici a chi ci ascolta nel tentativo di non rendere pesante il discorso religioso.

Diciamo la verità: spesso e volentieri alberga in molti di noi l’idea che stiamo portando avanti una battaglia contro i mulini a vento e che l’attuale contesto moderno ha una naturale riluttanza per ogni discorso religioso. E così frequentemente andiamo alla ricerca di linguaggi e di parole che i più usano e che facilmente possono capire… Può capitare allora di parlare della fede in Gesù come di una fede calcistica o di accostare il fascino del Signore a quello che può esercitare la star di turno. Tutto ciò ci fa sentire alla moda, gente all’avanguardia e cristiani pienamente inseriti nel mondo… Ma è proprio così?

Forse non ce ne rendiamo conto, ma le persone che abbiamo davanti spesso e volentieri ci chiedono proprio quello che noi abbiamo ritenuto “pesante” per loro. C’è nella società un desiderio di sacro che noi forse neppure immaginiamo, eppure non è difficile rendersene conto.

Basta pensare alle diverse pubblicità che fanno ricorso al linguaggio religioso. La nostra mente facilmente può andare alla pubblicità del caffè  “Lavazza” ambientate sempre in paradiso oppure a quella, a prima vista poco rispettosa, di sky. Ci possiamo chiedere come mai gli agenti pubblicitari cerchino parole nel vocabolario religioso per operazioni di marketing e la risposta è piuttosto semplice: il linguaggio che attiene al sacro fa ancora parte della grande maggioranza degli italiani e può essere utilizzato da coloro che operano nel campo della comunicazione per attirare l’attenzione dei telespettatori.

Anche il mondo del cinema fa spesso riferimento a temi religiosi ed etici. Per esempio nell’ultima edizione della Biennale di Venezia l’argomento religioso è presente in parecchi film: si va da “La bella addormentata” di Bellocchio che tratta della vicenda di Eluana Englaro a “Fill the void” di Rama Burshtein ambientato in una comunità ebraica ultra-ortodossa;  da “The master” dedicato indirettamente a Scientology al documentario (fuori concorso) della Cavani sulle Clarisse.

Se le realtà “profane” (nel senso più nobile della parola) come il mondo della pubblicità e quello del cinema trattano di temi religiosi, perché proprio noi cristiani dovremmo avere qualche remora nel parlare di religione?

Non dobbiamo quindi avere paura o complessi di inferiorità nell’affrontare un discorso sul sacro perché è proprio quello che la gente cerca da noi. Chi, se non la comunità ecclesiale, si può far carico di questa domanda di senso? Si tratta dunque semplicemente di saper riprendere in mano gli strumenti che la Chiesa da sempre ci mette a disposizione come la Parola di Dio, i sacramenti, la preghiera e le opere buone perché l’uomo contemporaneo si possa avvicinare a quel Mistero da cui si sente attratto.

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